Focus dalla forte vena drammatica e thriller su uno spaccato di vita di uno spacciatore. Film d’esordio di Refn che, oltre ad essere il primo di una trilogia, fin dall’inizio già mostrava quello che poi sarebbe diventato il suo stile narrativo e visivo nelle opere successive.
Ambientato in una Copenaghen pericolosa e cupa, le vicende si incentrano su Frank (Kim Bodnia), uno spacciatore di eroina. La storia racconta una settimana generica tra le difficoltà, i rischi e le conseguenze del suo stile di vita. Ho deciso di non dirvi altro, in quanto l’incidente scatenante che da il via alla trama delineandola verso una certa direzione è uno spoiler che non vorrei anticiparvi, in quanto nasce da un colpo di scena bello e buono. Il punto è che la carica emotiva del film è veramente molto potente riuscendo bene sia nella componente drammatica che in quella thriller e perciò non voglio rovinarvi la visione.
Il protagonista è accompagnato per buona parte del tempo da Tonny (un giovane Mads Mikkelsen). Il primo ci da fin da subito un’idea di maggior serietà, il secondo è una sorta di spalla fastidiosa ma interpretato meravigliosamente da Mikkelsen nel suo esordio al cinema dimostrando anche lui le sue enorme capacità e facendosi conoscere in un ruolo secondario. La trama si svolgerà in un continuo declino per il protagonista, caratterizzato ottimamente così che uno spettatore riesca ad empatizzare con lui, nonostante sia descritto come figura negativa. Il contesto della storia d’altronde predilige certe premesse: il film è violento, scurrile e fastidioso magari per via del maschilismo che fuoriesce dal personaggio. Resta sempre difficile credere come si possa empatizzare con figure di questo tipo, ma la storia insegna che prima di tutto il malvagio può affascinare e inoltre sia la regia, che la sceneggiatura stessa, che piccoli elementi di umanità nei personaggi possono in qualche modo farci affezionare comunque. Frank sarà pure uno spacciatore violento e da evitare, ma le cose cominceranno ad andargli male per “sfiga” se così si può dire, e questa è già una cosa che ci fa dire, “Bé però non è stata colpa sua, poverino. È un gran bastardo, ma comunque poverino.”
La narrazione scorre bene sia nei momenti ritmati che in quelli più lenti. La colonna sonora è quasi sempre diegetica. La sentiamo dagli stereo, dalle casse delle discoteche o altro ed è caratterizzata da musiche techno e da potenti chitarre distorte. Tutto il film è girato con macchina a mano, in maniera che l’inquadratura sia discontinua e meno fluida così da valorizzare il contesto urbano in cui è ambientata la storia e facendosi immergere nel protagonista. La fotografia, è il punto di forza che colpisce e da un tocco molto underground al film. Nonostante gli ambienti siano sempre molto cupi e poco illuminati spesso vediamo scene dai colori accesissimi, luci cittadine che si riflettono sulle auto e sui vetri, insegne al neon, luci da discoteca sgargianti. Nient’altro che il marchio di fabbrica dei successivi film di Refn.
“Pusher” quindi, è un’opera che nonostante la sua forma grezza racconta una storia fluidissima, senza debolezze di trama, con ottime caratterizzazioni, emotivamente potente e visivamente accattivante. Ed è tutto dire, per essere un’opera prima questo film è una gran bella bomba.