Dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte. Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l’orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, prima amici, poi amanti e infine anche compagni d’armi – due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna. Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, rievoca la storia d’amore e di morte di Achille e Patroclo, piegando il ritmo solenne dell’epica alla ricostruzione di una vicenda che ha lasciato scarse ma inconfondibili tracce: un legame tra uomini spogliato da ogni morbosità e restituito alla naturalezza con cui i greci antichi riconobbero e accettarono l’omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo. Sulle mura di Troia si profilano due altissime ombre che oscurano l’ormai usurata vicenda di Elena e Paride.
Titolo: La canzone di Achille
Autore: Madeline Miller
Editore: Marsilio
Genere: Narrativa
Data pubblicazione: 10 Gennaio 2019
Voto: 5-/5
Cartaceo -> 12€ | Ebook -> 7,99€
Recensione
Scrivendo questa recensione, devo cospargermi il capo di cenere e invocare perdono, perchè mi sono contraddetta da sola e sono contenta di ammetterlo.
Chi mi conosce e mi legge, saprà che non sono una grande amante del mainstream, ossia di tutto quel genere di prodotti d’intrattenimento, in questo caso, che vanno per la maggiore.
Mi piace fare un po’ la mosca bianca, forse perchè lo sono effettivamente sempre stata. Ho avuto fin da piccola gusti diversi rispetto a quelli dei miei coetanei e trovavo affascinanti – e trovo tuttora – film, serie tv, libri e attività che la gente di solito rifugge o considera poco interessanti.
Anche nel caso de La canzone di Achille, che ha spopolato su TikTok e Instagram e qualunque altro tipo di piattaforma social, ero pronta a urlare: No! Non è vero che è un bel libro, è solo una moda! E la gente lo legge solo per passaparola e non perchè sia effettivamente un romanzo valevole, un po’ come successe con Cinquanta sfumature, mio dio che orrore.
Tuttavia, sono costretta a ricredermi. Ho scelto di leggere il libro perchè ehi, non posso dire che non mi piace se non l’ho neanche letto, ed è inutile che stia tanto a pontificarci sopra: l’ho amato.
Per chi, come me, facesse parte di quella branca di polemici fastidiosi che non sono mai d’accordo con niente e hanno sempre da ridire, ora mi spiego subito. Cerco di mettere nero su bianco il perchè abbia apprezzato a tal punto il romanzo di Miller, una volta per tutte.
Suppongo sia di poca utilità raccontare nuovamente di cosa parla, credo lo sappiate tutti. Ma, per chi non avesse gran simpatia per i social o conosca poco l’epica, ecco giusto un breve sunto: La canzone di Achille parla della storia d’amore fra Achille e Patroclo, mai apertamente trattata da Omero – o dagli Omeri, la questione è ancora aperta – eppure così palpabile una volta che si studia l’Iliade, a scuola. E’ chiaro che fra quei due ci sia qualcosa di più dell’amicizia, e Madeline Miller ha deciso di prendere spunto da questo implicito e scriverne un romanzo molto appassionante, immerso nella storia e nel mito, nel quale è impossibile non empatizzare con i protagonisti e partecipare intensamente ai rivolgimenti della fortuna che li osserva, fino all’inevitabile e agrodolce conclusione.
Ovviamente, l’autrice ha dovuto mettere per forza del suo nel romanzo. Quindi trovo le repliche di chi motteggia l’inesattezza storica decisamente fuori luogo. La licenza poetica, in questo caso, è inevitabile e, nonostante la scrittrice si mantenga piuttosto fedele a quel che sappiamo del mito, anche inserendo episodi come il camuffamento di Achille per sfuggire alla guerra di Troia, l’eco del suo stile narrativo è ben presente fra le pagine del romanzo. Lo trovo un male? No.
Chiunque abbia mai provato a leggere qualche pagina di Miller è a conoscenza della sua incredibile poesia, della bravura con la quale si esprime e veicola i sentimenti dei personaggi, facendo immediatamente empatizzare con loro. Già soltanto per il modo in cui scrive l’autrice, questo libro sarebbe per me un 5/5. Ho particolarmente adorato l’utilizzo delle metafore, delicate e fresche, tanto lontane dai dogmi triti e ritriti che ritroviamo nelle pagine dei romanzi rosa. Niente “Bello come il sole” o “Occhi color del cielo”, per intenderci. Il sentimento puro di Patroclo, il narratore, nei confronti del suo compagno, è qualcosa di talmente potente e soverchiante da lasciare senza parole. Non mi metterò a fare citazioni, ma ci sono alcune frasi così incisive ed emozionanti da far venire i brividi. Raramente ho scovato autrici o autori in grado di narrare l’amore e farmelo piacere, anzi, credo sia una delle prime volte che non sollevo gli occhi dalle pagine, facendoli roteare come pale eoliche per la scontatezza di certe espressioni. Miller è riuscita nell’impossibile, chapeau a lei.
A parte al modo meraviglioso in cui è narrata la storia d’amore fra Achille e Patroclo, un altro punto a favore de La canzone di Achille è segnato dai suoi personaggi. Sono incredibilmente ben rappresentati, particolari, verosimili, così diversi dai soliti eroi senza macchia e senza paura del mito, da come ci sono stati raccontati in passato. Tra le fila di achei e troiani, non si risparmiano i difetti: l’egoismo, la vanagloria, l’invidia sono soltanto alcuni dei vizi che proliferano negli animi umani e divini. Tutta la guerra, come era anche nell’Iliade, è montata per la debolezza dell’uomo, per l’incapacità di ammettere la propria insicurezza o inferiorità, per il voler spiccare sempre sopra gli altri e distinguersi agli occhi di tutti. La scintilla che fa esplodere l’incendio a Troia risiede tutta nella contesa di Elena, ma l’attrito più evidente e decisivo per il tramontare della felice storia d’amore fra Patroclo e Achille e per l’insuccesso degli achei è il battibecco che si accende fra Agamennone e Achille in seguito al ratto di Briseide. Troppo orgogliosi per scendere a compromessi, chi per un motivo chi per un altro, i due uomini si fanno terra bruciata intorno e scrivono il loro destino con il sangue. A nulla servirà lo scongiurare di Patroclo, che tenta di dissuadere l’amato dal suo comportamento sconsiderato e infantile. D’altronde, c’è troppo in ballo. Achille è troppo importante per abbassare la testa di fronte al capo degli achei, e Agamennone è troppo innervosito dal talento del ragazzo e dalla mancanza di presa che ormai è più che visibile sul suo esercito per permettergli di fare un passo avanti, in sua direzione.
Come ho già detto, la colpa di difetti molto umani si ritrova anche nei personaggi divini del racconto. Ho adorato il ritratto di Teti fatto da Miller: una ninfa del mare tutta fronzoli, boccoli biondi e bellezze liquide? No, non questa Teti. Si tratta piuttosto di un’aspide, una forza sovraumana racchiusa in un misterioso involucro terreno che di terreno a poco e niente. I suoi occhi neri e spaventosi riempiono Patroclo di riverenza all’inizio, di impotenza in seguito, di rabbia una volta che è adulto. La madre di Achille è rancorosa e lo odia. Al loro primo incontro gli dice che morirà presto, e questo non mi sembra per nulla un buon modo di iniziare conversazione con il genero, no?
Teti non vuole accettare suo figlio e i suoi desideri, ritenendo di sapere meglio di lui quali sono i suoi desideri e cercando di preservarlo alla durezza del mondo e alla sofferenza, finendo per turbarlo e sconvolgerlo e facendogli montare un po’ tanto la testa. Inevitabile, quando sei un semidio.
Le altre divinità parteggiano per gli achei o i troiani in base a quanti sacrifici ricevono in loro nome, e per sacrifici non si parla di mazzolini di violette bruciate cantando kumbaya ma veri e propri omicidi per accrescere la loro fama in terra. Offerte votive decisamente forti, anche contando la facilità con cui si schierano gli dei e il loro modo quasi giocoso di disputare le sorti della guerra. Certo, parlo da umana, non ragiono mica con la mentalità divina. Altrimenti, probabilmente, troverei normali determinati atteggiamenti.
Da Odisseo, che ho interpretato come una specie di trickster, Achille – giovane talentuoso e forse un po’ troppo positivo, non so come altro dirlo – Patroclo, sensibile e timido, fino a Teti, Peleo, Agamennone, la dolce e brillante Briseide ma, soprattutto, il fantastico maestro a quattro zampe Chirone, i personaggi lasciano il segno e fanno il loro lavoro per assicurarsi un posto nel nostro cuore. Quelli che ho trovato un tantino più deboli sono, come ho accennato, Achille, forse perchè veramente troppo positivo e quasi oltre – del resto è un semidio, di che mi meraviglio – e Menezio, il padre cattivone di Patroclo, di cui avrei voluto si parlasse di più. Ecco, se devo dire una cosa che non ho particolarmente apprezzato del libro – perchè non può mica avere solo pro per piacere davvero – è stata la poca attenzione riservata a Ettore. E che diamine, è quello che – SPOILER ALERT!!! – ammazzerà il povero Patroclo – FINE SPOILER ALERT!!! – , Madeline, dicci qualcosa di più su di lui!
Ho come la sensazione che, lasciando Ettore nell’ombra e non calcando troppo la mano sulla sua rappresentazione, nemmeno su quella fisica, Miller ci abbia voluto strizzare un occhio.
Parlerò ancora di lui, è come se ci avesse voluto far capire, sgomitando sorniona. Magari scriverà un romanzo proprio su di lui, Andromaca e Astianatte, e ha ritenuto saggio non scucirsi troppo sulla sua figura.
Molto interessante è la rappresentazione storica del racconto. Madeline Miller dissemina fra le pagine innumerevoli riferimenti interessanti sulle usanze dei greci, i loro costumi e le tradizioni che erano soliti rispettare, riuscendo a rendere tutto ciò appassionante. Spesso i romanzi storici falliscono su questo fronte, risultando polpettoni boriosi infarciti di dettagli e fatti che sembrano direttamente usciti da uno dei manuali universitari che tanto mi penavo di dover studiare. Miller invece utilizza le conoscenze acquisite a riguardo con maestria, non annoiando e essendo in grado di cucire le informazioni prettamente storiche all’interno del racconto, istruendo e intrattenendo insieme.
Quindi, La canzone di Achille ha dalla sua trama, stile, personaggi, dialoghi – verosimili ma non troppo moderni, per non tradire la verosimiglianza del racconto – e chi più ne ha più ne metta. Non inciampa praticamente mai, nella narrazione, scorre piuttosto liscia come l’olio raccontandoci una storia d’amore che rimane impressa, che gronda emozione, sofferenza e sentimento. Personalmente, credo che mi abbia conquistato non tanto l’argomento, quanto piuttosto il suo stile. Già, è questo che ho adorato di lei: dopo essermi imbattuta in veramente troppi romanzi dalla trama anche più interessante di questo, ma dall’evoluzione improponibile e uno sviluppo che avrebbe fatto mettere le mani nei capelli a chiunque abbia un minimo di esperienza nel campo della lettura, la scrittura di Miller è una ventata d’aria fresca e profumata che fa sperare in un futuro letterario migliore.
Sono contenta che La canzone di Achille sia annoverabile fra i prodotti mainstream di questo decennio, perchè se veramente un prodotto del genere riesce, grazie al tam tam social e a vie non convenzionali, a raggiungere una vasta fetta di pubblico anche piuttosto giovane, ben venga.
Se a emergere sono libri di questa levatura e non i pregiati manoscritti dell’influencer di turno, sono solo che contenta che sia popolare e che ne parli chiunque. Altri mille come La canzone di Achille!
Voto: 5-/5
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