Al Pacino contro Robert De Niro. Una sfida come suggerisce il titolo, tra titani. Due dei più grandi nomi della storia moderna del cinema uno contro l’altro. Il primo, agente della polizia, il secondo rapinatore di alto livello. Il film è tutta un’ampia epopea che gira intorno ai vari furti messi in atto da De Niro, con Al Pacino sempre alle suo costole. Uno scontro tra menti geniali dove siamo desiderosi di sapere chi sarà il migliore.
Il film, diventato Cult, è considerato uno dei migliori action della storia del cinema e che negli anni 90 ha rivoluzionato sia dal punto di vista tecnico che di contenuto il modo di fare opere di tal genere. La sensazione che ho avuto è quella di star assistendo, durante la visione, ad una storia vera. Ho scoperto successivamente che non lo era, ma tanti erano gli elementi che mi avevano portato all’errore di valutazione. La costruzione della storia e la maniera in cui gli eventi si snodano è realisticamente superba e mai esagera con l’action (cosa che invece succede in John Wick), o con la dinamicità. Infatti questo evita un’eccessiva spettacolarità delle scene, tutto è molto contenuto e aumenta di passo solo quando serve. Non a caso la scena della rapina principale della storia dura come mai una rapina era durata sullo schermo, dove la sparatoria è girata con una potenza visiva e una tensione emotiva che in qualche modo ci fa sembrare tutto vero. Altra cosa che favorisce il realismo è la forte caratterizzazione dei personaggi e delle loro dinamiche familiari. Lo stile di vita di entrambi i protagonisti e di uno dei criminali della banda di De Niro, è ricolmo di dramma e situazioni tutte diverse. Ed è naturale che sia così, ma l’originalità sta anche nell’aver creato diverse condizioni di vita di ognuno dei personaggi principali, mostrando il loro spaccato familiare e le conseguenze fuori dalla criminalità e dal lavoro.
Non c’è un vero antagonista e, guardando il film, soprattutto dalla scena emblematica al ristorante in cui i due “sfidanti” si parlano per la prima volta, ho percepito che in realtà sono personalità molto simili. Costretti ad una vita solitaria, entrambi “mangiati” dai loro diversi lavori. L’empatia che percepiamo tra i due è anche data dal fatto che entrambi si stimano e riconoscono le capacità dell’altro. Tutto questo accendeva dentro di me sempre di più la voglia di sapere come sarebbe finita la storia e chi avrebbe prevalso sull’altro. I personaggi vivono anche le loro storie sentimentali, costantemente frenate o disturbate dal loro lavoro. La storia è perciò molto vasta visto tutte le sfaccettature che si porta con se: varie sotto-trame, eventi che accadono, personaggi che entrano in gioco a metà film e che avranno la loro risoluzione con il proseguire della storia. Quello che rende un opera cosi complessa strutturalmente rendendola semplice e piacevole alla visione è la presenza di personaggi ed interpretazioni prorompenti, di un susseguirsi degli eventi equilibrato e che rallenta solo quando serve, di un utilizzo di luci e colori, se vogliamo essere tecnici, che fa sembrare il film molto più recente di quello che è. La tensione e l’empatia generano una visione che ci trascina dentro lo schermo dall’inizio alla fine. E’ stato il primo film di tre ore della mia vita che non ho voluto mettere in pausa e vedere in momenti separati da quanto ero preso dalla narrazione. Nel cast figurano inoltre nomi come Val Kilmer, al centro della storia quanto i due protagonisti, Danny Trejo e una giovanissima Natalie Portman, figliastra di Al Pacino. Con “Heat – La sfida” Micheal Mann ribalta i canoni del poliziesco, genere a cui raramente ed erroneamente non mi ero mai avvicinato ma che tanto mi ha colpito per quanto umana e realistica è stata la messa in scena. Super filmone.
Un signor film che dimostra la bravura di due attori incredibili del regista Mann, un regista fin troppo sottovalutato.
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Mi hai tolto le parole di bocca. È proprio così. C’è da dire che un film con due nostri sacri del genere difficilmente riesce male, ma Mann alza il livello tantissimo
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