Recensione “Zombie” di Joyce Carol Oates

Quentin P_ è un enigma per i suoi genitori, anche se non credono affatto all’accusa di molestie sessuali mossa da un minore nei suoi confronti. Quentin P_ è un enigma per il suo psichiatra, che comunque lo incoraggia, apprezzando le potenzialità positive dei suoi sogni, di cui parla tanto apertamente. Per sua nonna, Quentin P_ è solo un ragazzo dolcissimo, cui è impossibile dire di no. Ma Quentin P_ in verità è l’assassino psicopatico più terrificante del Michigan. Condannato alla libertà vigilata, Quentin è accondiscendente, ma rimane insensibile a tutto: alla famiglia, ai controlli giudiziari, ai medici. Un giorno, per caso, scopre la lobotomia, e d’un tratto le sue ossessioni prendono forma concreta. Una a una, sceglie le sue vittime obbedendo a una volontà di potenza, il bisogno insopprimibile di creare uno “zombie” tutto per sé che, passivo e remissivo, lo supplichi e lo gratifichi. Esagitato da varie sostanze e dalle sue stesse perversioni sessuali, assolve con zelo ogni sanguinoso compito e, nella meccanicità, acquisisce sempre maggiore astuzia e perizia. “Zombie” è il romanzo della mente psicotica di un killer seriale che, nel delirio impermeabile del suo monologo, riproduce i movimenti automatici di una società disumanizzata.

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Titolo: Zombie
Autori: Joyce Carol Oates
Editore: Il saggiatore
Genere: Thriller – Horror
Data pubblicazione: 28 Maggio 2015
Voto: 2.5/5

Classificazione: 4 su 5.
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Recensione

Joyce Carol Oates è un’altra di quelle autrici che ho sempre desiderato approfondire. Mi sono imbattuta in Zombie quasi per caso e, vista la mia folle passione per i morti viventi che coltivo fin da piccola, mi son messa a leggere senza informarmi prima sulla trama.

Quindi ecco il primo di molti trigger warning: non vi arrabbiate se, leggendo, vi rendete conto che non si parla di zombie intesi mostri alla Romero. Me l’ero ammoscato subito, considerando il tipo di narrativa che produce di solito Oates, e andando avanti con i capitoli ne ho avuta la riprova. Però, c’è chi potrebbe scegliere Zombie convinto di imbattersi in The walking dead. Bene, non è così.

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E proseguiamo con i trigger warning: si parla di morte, violenza, stupro, necrofilia (?) e tanto altro. Vi ho avvertiti.

Zombie, ho scoperto poi, è ispirato alla vicenda reale di Jeffrey Dahmer, che i più conoscono grazie alla serie Netflix con Evan Peters di qualche anno fa. Quindi sì, il protagonista è un killer psicopatico che ha il sogno di creare per sé uno zombie da un ragazzo qualunque (meglio se di una minoranza, così da non destare sospetti nella comunità se scompare). Un giovane che faccia tutto quello che lui vuole, compreso essere usato come macchina di piacere, servo e giocattolo. Come poter ottenere tutto ciò da una persona, e quindi uno con le proprie volontà e desideri? Semplice, tramite la lobotomia. E quindi il protagonista, che si riferisce a sé a volte in prima, altre in terza persona, comincia a studiare la pratica e ricercare possibili vittime.

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La cosa che fa infuriare, o almeno così è stato per me, è che Quentin (questo il suo nome, in alternativa Q.P.) prosegue con l’omicidio di diversi ragazzi prima di attirare qualche sospetto dalle autorità. Complice anche il silenzio omertoso della sua famiglia, consapevole che qualcosa non vada in lui ma troppo perbene e in vista per agire. E quindi Q.P. ammazza in giro fantasmi dimenticati dal mondo, di cui non interessa a nessuno, perché i suoi esperimenti vanno tutti male. Non è proprio una cosa semplice lobotomizzare una persona, non so se avete presente. Fino a che non becca una preda che lo fa impazzire, ma molto rischiosa da catturare: un bell’adolescente bianco che abita nei dintorni del quartiere. Q.P. sa che per avere Scoiattolo, nomignolo che gli affibbia, potrebbe finire in grossi guai. Basterà la consapevolezza del pericolo a dissuaderlo?

Ho già detto troppo, basta così. Passiamo a un commento veloce su questo ancor più veloce romanzo. Intanto, è super breve. Si tratta di un centinaio di pagine che si volano, ma non semplici da digerire. Sia per gli argomenti trattati in modo spinto e senza veli, già pesanti di per sé, sia per la narrazione particolare di cui Oates si fa portavoce. La scrittura segue direttamente il flusso di pensieri di Q.P., un flusso non tanto regolare né intellegibile. Alle parole si alternano disegni, lunghi elenchi di luoghi toccati dal killer durante le sue ronde, descrizioni dettagliate di pratiche mediche. Quando la storia si concentra sui rapimenti e gli omicidi, Q.P. diventa logorroico e la pagina fitta di frasi coincise e disturbanti. Nei momenti in cui parla dei genitori, si percepisce il fastidio che prova nell’interagire con loro. Durante le riflessioni del killer sui suoi impulsi, è difficile non distogliere gli occhi dal proliferare di incubi che affollano la carta. Perché pensieri simili, ahimé, ci sono persone che li hanno davvero e che hanno condotto alla morte di innocenti, proprio come le vittime di Dahmer.

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Zombie è quindi una finestra da cui affacciarsi nella mente di un assassino senza pietà o rimorso. Non so se è un panorama adatto a tutti.

Voto: 2.5/5

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