Riuscire a far combaciare i miei gusti e quelli dei miei genitori è sempre un disastro.
Ammetto che io ho preferenze un po’ particolari, che vanno dall’horror all’animazione giapponese al dramma pesante, mentre giro a largo dalle commedie italiane becere e dai film americani a lieto fine fin dal primo minuto, però anche loro sono ossi duri. Cosa piace guardare ai miei? Be’, proprio quello che non sconfinfera me, ovviamente.
Tuttavia, è regola non scritta che, in casa nostra e soprattutto la sera, ci si riunisca davanti alla tv con l’obiettivo di guardarci qualcosa tutti insieme. Che si tratti di un film, una serie o i video di Yotobi, Barbascura X o della Slim Dogs che cerco di propinare loro quando sono in buona e aperti a nuove esperienze, non importa. Ciò che conta è condividere un po’ di tempo insieme, ed è un’abitudine che adoro e che non voglio abbandonare.
Quindi chissene se, per trovare il prodotto adatto, devo cercare per ore sul web, saltare da un trailer promozionale all’altro, tradurmi pagine di Wikipedia dall’inglese per trovare qualcosa che potrebbero apprezzare i miei genitori, mia sorella se non è all’Università, e io stessa. Alla fine sono talmente testarda e determinata che qualcosa trovo sempre.
Siccome era passato diverso tempo dall’ultima serie tv condivisa con loro – un kdrama molto carino che soddisfaceva il mio bisogno di Oriente e la loro sete di romanticismo e placidità -, la settimana scorsa ho deciso di intraprendere la ricerca sfrenata che mi avrebbe condotto a un prodotto di cui usufruire all together.
La prima cosa da fare in questi casi: Netflix. La seconda? Amazon Prime. La terza? Disney Plus con me non va lontano, quindi Sky. La quarta, infine, proprio quando sono disperata e non so più dove sbattere la testa, la piattaforma del magico topo con la voce da castrato.
Netflix l’ho subito dovuto chiudere, perchè mi sono accorta dell’uscita della seconda stagione di un anime che amo e che aspettavo da tantissimo e non avrei resistito alla tentazione di buttarmici sopra con il cursore, imponendo ai miei 25 terribili minuti di farfugliamenti in giapponese e sottotitoli che non leggono perchè si addormentano prima.
Passata ad Amazon Prime, scorgo con interesse una miniserie. Perfetto, più sono brevi, meno è la possibilità che i miei genitori la guardino senza abbioccarsi e che io mi lamenti perchè, dopo un tot di episodi e stagioni, la trama si rovina sempre e mi diventa indifferente. Solamente sei puntate? Top. Genere? Comedy-drama. Mh, un buon mix, non delude mai, di solito. Non sono stata a specificare ai miei che c’è anche una puntina di horror nel calderone della serie Amazon che avevo selezionato, intitolata Wolf like me, perchè già dalla copertina si capiva che sarebbe stato un elemento super marginale della storia.
Wolf like me ha come protagonisti Isla Fisher – che adoro – e Josh Gad – che adoro un po’ meno, ma che in questa miniserie si è esibito in una prova attoriale a dir poco magistrale. Lui, Gary, è un padre di famiglia, vedovo, con una bimba undicenne a carico che soffre di gravi problemi di depressione e trauma dopo la morte della madre. Lei, Mary, è una psicologa che risponde ai quesiti ospitati su una rivista, tranquillizzando i lettori con i suoi consigli materni e amorevoli, ma che a sua volta soffre per un passato misterioso nel quale le è stato spezzato il cuore. Un giorno si incontrano in seguito a un tamponamento – Mary lo asfalta – e, incredibilmente, la donna instaura subito un rapporto speciale con Emma, la figlia di Gary. Per la prima volta dopo molto tempo, la bambina sembra serena, anche se lo stato d’animo positivo dura poco. Dopo aver lasciato la figlia dalla sorella, grande personaggio secondo me, gentile e disponibile, Gary invita Mary a mangiare qualcosa e a trascorrere un po’ di tempo insieme per parlare dell’incidente e, chi lo sa, forse anche per conoscerla meglio. Non tutte le cose brutte devono essere solo negative, no?
Dopo essere approdati in un locale notturno, aver riso e scherzato ed essersi aperti – soprattutto Gary – l’un con l’altra, nel momento in cui Mary si accorge che ore sono, come una moderna Cenerentola dà fuori di matto e scappa proprio quando è in vista un bacio fra i due. Il povero Gary rimane desolato al tavolo, senza riuscire a capire cosa cavolo sia successo e perchè un attimo prima la fanciulla dalla chioma rossa e gli occhi dolci era davanti a lui e qualche secondo dopo era evaporata in una nuvola di improperi e vetri rotti. Mary, invece, la vediamo percorrere a razzo isolato dopo isolato, fin quando arriva a casa sua e, strano ma vero, si rinchiude in una sorta di bunker.
La prima puntata termina così e, se sapete un minimo di inglese e avete avuto modo di tradurre il titolo, non è lasciato troppo all’immaginazione quel che sia appena capitato. Che Mary sia un licantropo? Be’, è un po’ scontato, sennò perché avrebbe lasciato con l’amaro in bocca un uomo che chiaramente le piace, corso l’intera Australia scalza e, lasciati i vestiti sul pavimento, relegato se stessa dentro una stanza insonorizzata simile ai cavò delle banche?
Dopo il primo incontro traumatico, per una serie di coincidenze e misteriosi segnali del destino, Mary e Gary – certo che due nomi non in rima potevano anche trovarglieli a ‘sti due – si imbattono nuovamente l’uno nell’altra, e ci sarà occasione di approfondire il loro rapporto. Anche perchè Mary costituisce la perfetta figura di mamma amorevole di cui Emma ha bisogno, e la bambina chiede più volte di poterla rivedere. Diversi problemi, tuttavia, rotoleranno a ostacolare la storia d’amore fra i due protagonisti. Saranno abbastanza forti e uniti da riuscire a superarli?
Che strano. Questa miniserie mixa argomenti estremamente distanti fra loro, eppure riesce a incastrarli così bene! Devo dire che non avevo alcun tipo di aspettativa a riguardo, soprattutto per le tematiche così diverse che il regista ha tentato di far compenetrare negli episodi. Il risultato è un riuscitissimo prodotto più che altro drama, dove l’importanza dei legami familiari la fa da padrone.
Il fulcro dorato di questa prima stagione risiede proprio nell’accettazione del lutto, della difficoltà a distaccarsi da una persona – o dall’idea di questa – che si custodisce nel cuore, della paura e dell’emozione che si provano quando tutto pare ricominciare a girare, come un ingranaggio ben oliato dopo un periodo di incuria e immobilità.
In più, si discute dell’affrontare i propri traumi pregressi e della forza necessaria per superare le proprie paure e aprirsi nuovamente al sentimento e alla condivisione. Questo soprattutto traspare dal personaggio di Mary, che in passato ha subito veramente una brutta batosta e che continua ad esserne gravata. Sia metaforicamente che concretamente.
Nel complesso, Wolf like me è una miniserie godibile ma un po’ triste, inadatta a chi ha subito da poco una perdita o a chi è particolarmente sensibile riguardo certe tematiche. Non si affrontano questioni semplici – una fra tutte, il tentato suicidio di un minore -, ma il modo in cui vengono narrati i vari eventi e il lieto fine telefonabile fin dal principio rendono la visione di questo prodotto istruttiva. Lascia un retrogusto di speranza sulla lingua che dà adito a sognare giorni migliori. Decisamente da guardare se avete bisogno di una bella scossa emotiva, ma non se cercate un horror-comedy per passare qualche ora a ridere, né se il vostro obiettivo è scegliere un titolo incredibilmente verosimile fin nei minimi dettagli. Wolf like me è infatti reale e veritiero nei rapporti interpersonali di cui narra, ma si appoggia un bel po’ sulla componente immaginativa e paradossale. Romanza, diciamo, una storia vera, introducendovi elementi di fantasia per renderne gli angoli di sofferenza più smussati e per parafrasare con grazia alcuni dei mostri più neri della vita.
Voto: 4/5