“La città incantata” è il film più famoso prodotto dallo studio ghibli e probabilmente il migliore di Miyazaki. La critica lo definisce, nonostante sia di animazione, uno dei migliori film della storia del cinema. L’opera racconta la storia della piccola Chihiro, che mentre è in viaggio con i suoi genitori finisce intrappolata in un centro termale frequentato da demoni e spiriti all’interno di una città magica e misteriosa.

Tutti i film dello studio ghibli mostrano un atmosfera fiabesca ma la sua forza è quella di rivolgersi film sia a bambini che a adulti grazie ai suoi molti livelli interpretativi. Per un bambino, questa sarebbe una semplice storia, nel quale una bambina coraggiosa e buona, affronterà un avventura per salvare i propri genitori da una strega malvagia. Alla visione capterebbe i giusti insegnamenti e perciò sarebbe sicuramente formativo. Un adulto però può vederci molto di più. Lo scopo primario di Miyazaki è quello di fare film che siano fruibili per tutti, purchè rimanga in superficie un prodotto per bambini, difatti, non troverete mai niente di complesso in nessuna delle sue opere. Ma per chi ha occhio, queste nascondono miriadi di sottotesti. In particolare, “la città incantata” è una critica al capitalismo, all’avidità e ci mette in guardia sull’ambientalismo, ma queste sono solo tre delle mie interpretazioni. La strega Yubaba gestisce una grossa struttura termale, dove ci viene lasciato intendere che gli umani che ci si imbattono verranno utilizzati come cibo per i suoi clienti. Umani che verranno trasformati in “cibo”, mangiando da banchetti incantati messi apposta come esca. Questa metafora del mangiare spiega la struttura di una società capitalista dove ogni individuo per scalare socialmente o comunque aumentare il proprio potere all’interno della società stessa è “mangiare”, surclassare, inglobare, altri individui, come si vede nelle fusioni e negli accorpamenti di aziende che mangiano quelle inferiori. Lo stesso concetto, ma in modo grottesco, era stato esposto ad esempio da Pasolini in “Porcile” del 67′. L’avidità è invece racchiusa nel personaggio di “Senzavolto”, demone che offre oro alle sue vittime per attirarle, ma l’avidità è comunque presente come sfumatura del capitalismo, essendo l’obbiettivo di quest’ultimo, l’arricchimento di pochi individui. L’ambientalismo lo si trova invece nella scena del mostro putrescente, che scivola e lascia sporcizia ovunque finché non si getta nelle vasche termali purificatrici. L’opera è piena quindi di personaggi indimenticabili e spesso folli come questi, tutti caratterizzati alla perfezione dove anche i malvagi ci fanno tenerezza e ci affezioniamo a loro.
Tutto è fatto bene e ci meraviglia, dalla storia ai personaggi, le musiche perfette in ogni scena e l’ambientazione, le terme, location che se ci si pensa è insolita ma che viene raffigurata così bene tanto da divenire un personaggio essa stessa.
La narrazione accompagna l’avventura di Chihiro, attraverso momenti di dolcezza e dramma come vuole lo stile favolesco di Miyazaki ma non pensate che il film rimane una linea piatta, senza movimento. Le scene più memorabili, sono secondo me quelle più dinamiche. Inoltre, il perfetto equilibrio di tutti i gli elementi fa sì che la visione sia sempre piacevole e che mai ci fa uscire dallo schermo. Ma il punto di forza maggiore di tutti il film è secondo me la protagonista stessa e l’enorme forza carismatica che ci permette di legare con lei, tifare per lei, provare ciò che prova lei. La metafora di fondo in conclusione è quella della crescita, di una bambina che entra in un mondo incantato e che ne esce donna. Un Alice nel paese delle meraviglie insomma, ma in chiave giapponese. Il film è considerato positivamente da tutti e che mostra su più piani la sua forza e il suo valore. L’opera nel quale Miyazaki raggiunge forse l’apice della sua poetica ed essenza.