Quando un racconto di Lovecraft finisce al cinema, non si sa mai se il risultato sarà positivo. Nel corso degli anni sono stati fatti tanti film inspirati o tratti dalle sue opere e non sempre ne è uscito qualcosa di buono. Fortunatamente, questa è una delle volte buone, e Richard Stanley che ritorna alla regia dopo 27 anni dal suo ultimo lungometraggio, mette in scena, per giunta, uno dei più difficili racconti di Lovecraft. Il “colore”, è infatti una sorta di entità simil-gassosa ultraterrena che arriva attraverso un meteorite da un altro universo, la quale tonalità non è riconoscibile all’occhio umano in quanto non presente nel nostro spettro visivo. Richard Stanley riesce in questa difficoltà rappresentando il colore come un ammasso misto di energia, luce e gas di un rosa molto accesso. Importante dire, che la forza dietro la narrativa horror di Lovecraft stava appunto nel NON descrivere ciò che è troppo spaventoso e inconcepibile per l’uomo. La paura primordiale umana del non conoscere e del mistero è infatti alla base di tutte le opere Horror-cosmiche sia cinematografiche che letterarie.
Il film è un adattamento cinematografico notevole e riuscitissimo. Mentre nel racconto di Lovecraft il colore che si insediava nella fattoria dei protagonisti ammalava il terreno e le persone in un processo lento e sempre più drammatico, qua la trama si sviluppa in meno tempo: quello che nel racconto accadeva in diversi mesi, nel film accade in diversi giorni. Prima, il colore fuoriesce dal meteorite e si insidia nel terreno, dando nuova linfa e nuova vitalità al raccolto ma rendendo i suoi frutti insipidi, poi contagia la famiglia che naturalmente si nutre dei prodotti della fattoria. Mentre nel film, tutti i membri della famiglia, padre, madre, fratello, sorella e fratellino, subiscono “mutazioni” di diverso genere, nel racconto accadeva solo uno spaventoso decadimento fisico. Ma nonostante le differenze, in entrambe le opere si percepisce l’impotenza della famiglia nel difendersi dal colore e dalla sue conseguenze. Quindi il film funziona ed in un paio di sequenze l’ho trovato straziante. Il resto della pellicola mantiene invece un sali e scendi di inquietudine e tensione, ma la narrazione continua leggera. La regia quindi funziona e la fotografia, con quei giochi di luce, regala delle immagini meravigliose della fattoria contagiata dal rosa (flora e fauna vengono modificati secondo le regole dell’universo di provenienza del meteorite). Gli effetti speciali, anche se non sembrano il top di gamma e subiscono il limite del budget, riescono comunque egregiamente! Superbamente eccessivi nel finale ma comunque sensati, perche utili a fornire la sensazione di oppressione del colore che ormai ha contagiato tutto e tutti. Anche l’interpretazione attoriale è buona, e l’amatissimo Nicolas Cage (il padre di famiglia) che è solito bucare lo schermo con interpretazioni esagerate ma inverosimili, in questa particolare pellicola è ben tenuto a freno dal regista, che comunque gli riserva i suoi 5 minuti di gloria e overacting dove lo lascia libero di scatenarsi. (Ho aspettato tutto il film sperando succedesse).
In conclusione, ci troviamo davanti a l’unica opera cinematografica ispirata a Lovecraft che lascia la stessa identica sensazione che lo straordinario scrittore di Providence riusciva a trasmettere con le parole. Impresa ben più che notevole che in pochi hanno saputo fare.
Per me questa specie di fucsia-viola funziona, e’ uno dei miei colori preferiti ,io AMO il viola in tutte le sue sfumature. “Il colore” e’ sempre stato uno dei racconti di Lovecraft che preferisco,grazie per la bella e accurata recensione!
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Grazie a te! Anche io la trovo una scelta ottima.
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Purtroppo io ho sempre immaginato il colore di Lovecraft come una specie di azzurro fosforescente: https://guidomura.wordpress.com/scrittori/lovecraft-il-colore-venuto-dallo-spazio/
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Penso che la fosforescenza sia il metodo migliore si. Un riadattamento manga che ho letto lo rappresenta esattamente come fumoso e traslucido: azzurro, rosa, e giallo
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