
E’ ora di dire ufficialmente addio alle festività natalizie del 2019, e lo faremo con un articolo confezionato appositamente.
I protagonisti indiscussi del Natale, gioia, famiglia, amore, pace, torneranno a farci battere il cuore tra circa 340 giorni…scherzavo, le vere star del Natale sono da sempre e per sempre soltanto loro: I REGALI.
L’approssimarsi di Dicembre accende automaticamente in me una spia lampeggiante a forma di pacco colorato, fonte di profonda costernazione e ansia crescente. Cosa che in realtà si ripete anche per il mio compleanno, seppur con minore intensità in quanto per fortuna non circondato dal pathos generale.
Come mai una reazione tanto bizzarra? A chi non piace ricevere doni?
A me. E a tutti i poveri stronzi che come me hanno un trascorso di regali mortificanti all’inverosimile. Soprattutto se i suddetti regali provengono dalla propria metà della mela.
Ecco, questa schiera di persone di cui mi autoeleggo a rappresentante, a mio parere meriterebbe un posto in paradiso. Una suite speciale tra le nuvole in cui possano ritrovarsi tutte le povere anime congelate in sorrisi forzati e parole di ringraziamento più false di Giuda durante l’ultima cena. Cosi come dovrebbe esistere un girone infernale per quei diabolici esseri che ci costringono a queste messinscene con le loro brutture pescate in qualche mercatino delle perversioni.
E qui entra in scena il mio ex-fidanzato dell’epoca universitaria, colui che passò alla storia con questo semplice ma evocativo titolo: ‘‘I regali di Alfonso’’.
Lo conobbi al ritorno di una maratona a Porta di Roma con una mia amica, precisamente sull’unico autobus in grado di collegare il centro città con quella dimensione metafisica che era il centro commerciale. Già lì avrei dovuto intuire qualcosa. Sin da subito aveva mostrato un certo estro: dopo aver passato l’intero viaggio a lanciarmi occhiate neanche troppo convinte, scese prima di me mollandomi in mano un biglietto che recitava: ‘’6 carina. 339xxxxxx’’.
Anche lui era molto carino, biondino, occhi chiari. Vi basti sapere che le mie amiche lo avevano ribattezzato Jude (da Jude Law).
Al primo appuntamento si presentò lindo e pinto con camicia a righe e pacchetto blu in mano, il primo di una lunga serie di avvilimenti ambulanti. Ma allora non lo sapevo ancora.
Lo aprii con felicità e riconoscenza, mentre sentivo in me sorgere sentimenti di tenerezza per quel bel ragazzo dal nome spagnoleggiante e l’aspetto sognante.
Che ragazza naive.
Scartai il pacchetto per ritrovarmi in mano…un ombrello. Allegato un bigliettino (anche i bigliettini erano parte dei suoi pezzi forti): ‘’Così sei al riparo da altri colpi di fulmine’’.
<< Eheh. Grazie…>>, mormorai imbarazzata (emoji con sorriso ebete e goccia di sudore lungo la fronte rende abbastanza l’idea)
<< Sapevo che ti sarebbe piaciuto! >> Esclamò entusiasta.
Perchè non ho pensato di fare l’attrice?pensai.
Mentre passeggiavamo indolenti lungo Viale Eritrea, riflettei seriamente sull’ombrello e conclusi che in fondo era stato coraggioso ed originale.
Soprattutto coraggioso.
Di lì a poche settimane compii 20 anni. Durante la notte io di solito sogno molto, per la maggior parte incubi lunghi, articolati e assurdi (ad esempio, in uno degli ultimi ero Jack Sparrow) che mi piace raccontare quando particolarmente esilaranti. Questa premessa interessante come una mela cotta è in realtà fondamentale per comprendere appieno il prosieguo della narrazione.
Alfonso aveva organizzato un pomeriggio a Villa Borghese seguito da cena in trattoria in Via del Corso. Ero emozionata dal programma, adoravo la magia di Roma nei primi giorni dell’estate. Mi misi il più bel vestito che avevo e uscii di casa galleggiando in un mare di ottimismo.
Che lui decise di distruggere dopo poco con la sua nuova arma: seduta su una panchina nel parco ammiravo il panorama in silenzio, quando si materializzò dal nulla il secondo angosciante pacchetto. Questa volta era quadrato e avvolto in una carta argentata.
Lo scartai con trepidazione.
Per ritrovarmi a fissare sconcertata ‘‘Il libro dei sogni’’. Scritto forse da Moira Orfei.
Fu più complicato mascherare la delusione rispetto alla volta dell’ombrello. Almeno l’ombrello poteva essere effettivamente utile.
<< Vedi! Così finalmente puoi decifrare i tuoi sogni! >>
<< Eh gìà…ottima idea…>> (l’emoji si impossessò nuovamente di me) << dai andiamo a farci un giro! >>
E cosi interruppi il terribile momento, impegnandomi ad ammirare le bellezze del centro città. Roma mi consolava ogni volta, era la madre sempre pronta ad accogliermi.
Ma ancora una volta la sindrome da crocerossina cercò di giustificarlo ‘Dai, in fondo mi conosce così poco, usciamo da soli due mesi! E normale che non ci azzecchi’
Ignorai (leggasi in alto, sindrome appena citata) quella vocina nella mia mente che mi faceva giustamente notare che azzeccare in pieno era sì difficile, così come però lo era anche sbagliare in pieno.
Nei mesi successivi dunque, continuai a conservare la speranza che ad un certo punto finalmente avrei ricevuto il regalo dei miei sogni. Appunto, rimase soltanto una speranza. Ma per fortuna non era difficile per me sognare.
Sorvolerò sui vari pensierini con cui ogni tanto faceva magiche apparizioni – l’imprevedibilità devo effettivamente riconoscergliela – e mi limiterò ai regali delle grandi occasioni.
Arrivammo al mio secondo e (direi) ultimo compleanno con Alfonso.
Erano i tempi della Roma di Luis Enrique, probabilmente la formazione più disastrosa degli ultimi 20 anni. Alfonso era un grandissimo tifoso, frequentatore assiduo della Curva Sud. Non perdeva la fede neanche dinanzi al progressivo declino della sua squadra, che raggiunse l’apice con la sconfitta contro il Cagliari.
Tante bestemmie, quello si. Ma la fede, quella mai.
Militava in quel periodo dalle nostre parti un certo Simon Kjaer, giovane difensore danese preso in prestito dal Wolfsburg, che ricordo ai tempi particolarmente spaesato.
Da profana paladina della giustizia, simpatizzai immediatamente per quel povero disadattato: troppo biondo, troppo alto, con le gambe troppo lunghe e gli occhi troppo azzurri. Era una specie di stabilo gigante, impossibile da non notare. Il vero problema del povero Simon era però, in aggiunta a tutto ciò, la sua estrema ineleganza; e più passava il tempo cercando di passare inosservato, più finiva per incorrere nelle coreografie più sgraziate.
Inutile dire che la frustrazione dei romanisti si incanalò tutta verso lo sfortunato ragazzo color limone.
Arrivarono in quel mentre i miei 21 anni, e con essi il momento che ormai temevo più dell’esame di anatomia.
<< Buon compleanno! >> Alfonso era raggiante, mentre armeggiava con qualcosa dietro la schiena.
Iniziai sentire la musichetta dello squalo.
<< Tadan! Ci ho messo una vita a farmelo arrivare >>
Lo vidi con in mano…una busta. Tipo quelle della spesa.
‘’Ah..ok..’’. Questa volta non c’era neanche un pacchetto. Brividi lungo la schiena. Beh forse meglio, d’altronde avvolgerli in un pezzo di carta non era stata garanzia di successo sino a quel momento.
Nella busta c’era una T-shirt bianca.
La tirai fuori e la dispiegai. Una maglia della Roma. Non quella rossa storica delle giocate in casa ma quella bianca e scialba delle trasferte (tutte disastrose in quell’anno, tra l’altro).
Sulla schiena un nome, un programma: ‘KJAER’
Lascio immaginare a voi la mia espressione.
<< Cosi adesso te la puoi mettere quando andiamo in curva! >>
‘Siiii…come no’’.
Mi passò davanti agli occhi l’immagine della mia testa decapitata infilzata su un’asta, la maglia data spietatamente alle fiamme con i cori in sottofondo.
Pochi giorni dopo, Kjaer fece ritorno al Wolfsburg: per la gioia di tutti, la Roma decise di non riscattarlo (soprattutto la sua, credo).
Passò qualche mese. Ero in casa, preparavo qualcosa per cena aspettando Alfonso.
Sentii il suono del campanello, andai ad aprire felice.
Lo vidi salire con l’ennesima busta.
Ma questa volta non era una busta qualsiasi.
Questa volta sulla busta c’era scritto SEPHORA.
Oh. Mio. Dio. Tuffo al cuore.
‘’Avrà comprato qualcosa che effettivamente mi piace?’’
<< Per te >> mi disse sorridente, con un bacio.
Diedi un’occhiata all’interno, incredula: creme, detergenti, struccanti, pennelli, piegaciglia.
Ero tremendamente e piacevolmente meravigliata.
La mia attesa, le mie delusioni, le mie frustrazioni erano state abbondantemente ripagate!
Azz, avrà speso un occhio della testa, pensai. Inoltre, che acquisto difficile per un uomo. Come sarà riuscito a distinguere un prodotto dall’altro? Sarà stata un’ impresa epica. Comprare un piegaciglia poi, non ne parliamo. Gonfiai il petto orgogliosa: ma allora mi ascoltava davvero mentre blateravo incessantemente riguardo alle indicazioni di Cliomakeup?
CHE RAGAZZA NAIVE.
Poi il sospetto iniziò a farsi strada dentro di me. Era troppo bello per essere vero.
Lo guardai seria.
<< Come hai fatto a comprare queste cose? >>
<< Ah boh, in verità ho rubato il sacchetto ad una ragazza sull’autobus! >>
E questo passò alla storia come ‘’L’ultimo regalo di Alfonso’.