«Tutto ha inizio con due gemelli che una madre disperata è costretta ad affidare alla nonna, lontano da una grande città dove cadono le bombe e manca il cibo. Siamo in un paese dell’Est, ma né l’Ungheria né alcun luogo preciso vengono mai nominati. Un inizio folgorante che ci immette di colpo nel tempo atroce dell’ultima guerra raccontandolo come una metafora. La nonna è una “vecchia strega” sporca, avara e senza cuore e i due gemelli, indivisibili e intercambiabili quasi avessero un’anima sola, sono due piccoli maghi dalla prodigiosa intelligenza. Intorno a loro ruotano personaggi disegnati con pochi tratti scarni su uno sfondo di fame e di morte. Favola nera dove tutto è reso veloce ed essenziale da una scrittura limpida e asciutta che non lascia spazio alle divagazioni. Un avvenimento tira l’altro come se una mano misteriosa e ricca di sensualità li cavasse fuori dal cilindro di un prestigiatore crudele». (Rosetta Loy)
Titolo: Trilogia della città di K.
Autori: Agota Kristof
Editore: Einaudi
Genere: Narrativa
Data pubblicazione: 27 Gennaio 2014
Voto: 4-/5
Acquista su Amazon -> #pubblicità
Recensione
Agota Kristof è un’autrice che non avevo mai sentito nominare. Un vero peccato.
Purtroppo, la letteratura che abbiamo a disposizione in Italia è prevalentemente inglese/americana o nostrana. Ultimamente, ci si è un po’ aperti al Giappone e alla Corea del Sud, visto che vanno di moda (difendo il mio essere lettrice di romanzi nipponici dai tempi di Battle Royale, mainstream non mi avrai mai!)
Appassionata di romanzi provenienti dalle parti meno conosciute del mondo, ho scelto con piacere di dedicarmi a questa lettura. La Trilogia della città di K è tornata sotto i riflettori ultimamente, nonostante sia un romanzo classico scritto a metà anni ’80 da questa autrice ungherese naturalizzata svizzera. Sapevo soltanto che la sua penna era graffiante, quasi dolorosa. E accidenti, che colpo.
Trilogia della città di K è lungo 384 pagine, nella versione che possiedo. Ma contiene avvenimenti per traumatizzare un’intera generazione. Partiamo dal primo: la guerra. Ricordandomi la mia tesi di laurea magistrale, Kristof scrive un romanzo ambientato in un paese conteso fra due eserciti fratelli ma in opposizione da tempo, che continuano a fare guerriglia per la supremazia. Muore un sacco di gente: uomini, donne, bambini, anziani, animali. Saltano le mine, si rimane senza cibo, si è costretti a vivere di quel che dà il campo e, se c’è siccità, si digiuna. In questo ambiente terribile, crescono i due gemelli Claus e Lucas. Con la Nonna chiamata Strega nel villaggio, vengono su adeguandosi al dolore, alla povertà e alla morte. Facendo degli “esercizi”, si abituano a non piangere, a non patire la fame o il freddo. Non vanno a scuola, ma imparano a leggere e scrivere per conto loro. Buttano giù i loro pensieri su quadernoni che sono il loro unico tesoro, mentre il mondo cade a pezzi.
Non illudetevi che i piccoli protagonisti siano angioletti belli, bravi e intelligenti. Nel senso, lo sono, ma mancano quasi completamente di empatia. O almeno, così ci vengono presentati. Agiscono spinti dal senso di sopravvivenza. E non crediate che la Nonna sia una vecchina amorevole che prepara loro la marmellata. Né che i compaesani facciano loro la carità. Nella città in guerra, ognuno guarda per sé.
Andando avanti con la storia, i gemelli si separano passando il confine. Uno rimane a casa della Nonna, l’altro passa nel paese invasore (e vincitore). Come cambia la loro vita, da questo momento in poi? Oh, se cambia. E non è la sola cosa a farlo.
Conclusa l’infanzia, il libro procede con un’andamento discontinuo e confuso. Si passa dalla prima alla terza persona, non si riconoscono i personaggi sulla pagina, si dubita di ogni cosa. Si comprende subito che il narratore è inaffidabile, questo sì. L’unica costante che porta avanti la narrazione è la malvagità, insita nelle pagine come un veleno.
Non posso continuare con la storia, perché non saprei cosa dire senza incorrere in spoiler.
Nonostante ami le trame sofferte e drammatiche, quella della Trilogia della città di K non mi ha entusiasmato particolarmente. A convincermi è stato piuttosto l’intenso senso di curiosità sviluppato in me dalle tecniche narrative adoperate dall’autrice. E poi, volevo sapere come andava a finire l’avventura di Lucas e Claus.
Un avvertimento: non leggete questo libro se siete facilmente impressionabili. Si parla, come ho detto, di guerra, morte, suicidio, zoofilia, incesto. Insomma, di tutto quel che di sbagliato e doloroso c’è al mondo. Dunque, approcciatevi al romanzo solo se dotati di uno stomaco bello forte. E se, come me, siete attratti dai libri sperimentali, diversi, confusionari. Quelli che vi lasciano con mille dubbi, storditi, quasi. Come se qualcuno vi avesse dato una padellata in testa, per fare a capirsi.
Voto: 4-/5
