Roberto Zito: “Mi è sempre piaciuto creare storie, in qualsiasi formato e di qualsiasi genere” #Intervista

Ben tornati a tutti lettori, oggi vi porto un’altra bellissima intervista. L’autore Roberto Zito che conosco grazie al suo libro “Chiodo della terra” si racconta oggi a muatyland.com, buona lettura.

Roberto Zito è nato a Catania nel 1987. Laureato in Filologia moderna, ha vinto il primo premio nella categoria Racconto breve al concorso letterario “Premio Themis – I Edizione”. È stato finalista in due edizioni del concorso “Scrivere di cinema – Premio Alberto Farassino”, indetto dall’Associazione Cinemazero, dalla Fondazione Pordenonelegge e dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Ha collaborato con l’Università di Catania per la realizzazione del cineforum in lingua originale Learn by Movies e ha svolto il ruolo di selezionatore per la sezione cortometraggi internazionali alla rassegna “Garden in Movies”. Chiodo della terra è il suo primo romanzo.

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Quando hai capito che volevi diventare uno scrittore?

Non so di preciso quando ho capito che volevo diventare scrittore, di sicuro posso dirti che mi è sempre piaciuto creare storie, in qualsiasi formato e di qualsiasi genere, purché fossero appassionanti. Da piccolo ero il classico bambino che divorava in meno di una sosta al bagno tutte le storie del “Topolino” che usciva ogni mercoledì, a un certo punto quelle storie non mi bastavano più e cominciavo a buttarne giù alcune mie, scrivendo i dialoghi, la trama e disegnandone i personaggi. Purtroppo nel disegno ero, e continuo a essere, totalmente negato, ma creare delle storie che fossero mie mi piaceva da matti, e mi piaceva troppo condividerle, raccontarle, oltre a condividere anche i film e i libri che amavo. Infatti ero quello che alle medie organizzava sempre le uscite al cinema con tutta la classe, per me condividere una storia significa amplificare l’emozione, che sia una risata o un pianto. Ti fa sentire meno solo, ti fa capire che non sei l’unico a provare quell’emozione. A un certo punto ho capito che, se volevo condividere le storie che avevo in testa, non mi bastava più raccontarle a voce, dovevo scriverle. Ma non l’ho fatto pensando che sarei diventato uno scrittore, l’ho fatto semplicemente per trovare ancora più persone con cui condividere una storia che avevo in testa e che non riuscivo più a trattenere.


Cosa ti ispira a scrivere?

Tutto ciò che mi emoziona mi ispira a scrivere, e può sembrare banale ma non sempre le opere che emozionano coincidono con quelle considerate, secondo me in modo improprio, dei “capolavori”. Per il mio primo romanzo infatti mi sono ispirato alle opere che hanno come focus i disastri ambientali o le catastrofi, penso ai romanzi di McCarthy, Ballard, Camus, King, ma soprattutto “Anna” di Ammaniti, e li ho contaminati col mio amore per il film “Magnolia” di Paul Thomas Anderson e per i disaster movie con cui sono cresciuto, complice anche mio padre che adora il genere. Penso ai film di Roland Emmerich, che la critica ha spesso e volentieri distrutto ma che mi hanno insegnato come si gestiscono tante voci corali mentre sullo sfondo avviene una catastrofe. Poi certo, erano retorici, patriottici e in molti casi ridicoli, ma riuscivano a trasmettermi il senso di un’umanità che, di fronte a una tragedia collettiva, mette da parte i rancori e gli egoismi per sopravvivere. Un bel messaggio che oggi, in questa epoca di individualismo cinico e narcisista, si è un po’ perso.

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Qual è il tuo processo di scrittura e come ti organizzi per scrivere?

Il mio processo di scrittura è un po’ caotico, inizialmente frenetico ma non strutturato, finché all’improvviso non mi blocco e decido di approfondire i personaggi, creare delle schede per ognuno di loro e una scaletta. Ma all’inizio mi faccio prendere dall’euforia di aver immaginato una scena, una frase o un’immagine che non riesco più a togliermi dalla testa e che devo per forza scrivere. In questo senso, l’immagine dell’Etna che esplodeva aveva quel senso del sublime come lo intendeva Burke che mi catturava, ma dopo quell’immagine c’è voluto molto tempo per strutturare anche una storia e dei personaggi che si muovessero all’interno di quell’immagine.


Come nasce “Chiodo della terra”?

“Chiodo della terra” nasce, appunto, da quell’immagine che non mi toglievo più dalla testa, e che riaffiorava ogni volta che assistevo a un’eruzione dell’Etna, e ne ho viste molte che in effetti mi hanno generato una certa angoscia. Penso a quella dell’estate del 2001, che seguimmo con apprensione perché la lava rischiava di raggiungere la frazione di Nicolosi. Per non parlare delle eruzioni storiche del passato, come quella del 1669 che raggiunse la costa di Catania. Studiando i fenomeni vulcanici dell’Etna, ho cominciato a immaginare un’eruzione come quella del 1669 ma ambientata ai giorni nostri, vista attraverso gli occhi di personaggi che rappresentano, ognuno con la propria storia, uno spaccato del mondo contemporaneo e dei conflitti che caratterizzano quest’epoca, in particolare quelli tra genitori e figli. Ma devo ammettere che la spinta finale, che mi ha convinto a dover scrivere questa storia, è stata la lettura di “Anna” di Niccolò Ammaniti, un autore che adoro e che ha usato la Sicilia come ambientazione per una storia apocalittica vista dall’ottica dei ragazzini. Quel romanzo è stato un fulmine, mi ha convinto che si poteva fare, si poteva raccontare una Sicilia diversa, lontani dai cliché, dagli stereotipi, dai racconti gialli o criminali. Una storia di sopravvivenza, di distruzione e rinascita, di piccoli e grandi gesti eroici, senza però snaturare le radici più profonde della Sicilia. E infatti nel mio romanzo ci sono anche richiami alle leggende, i miti e le tradizioni legati all’Etna, e c’è anche il legame ambivalente che provo per il vulcano sotto il quale sono cresciuto. Per me non è solo “ ‘A Muntagna ”, è un punto di riferimento senza cui rischierei di perdermi, anche se a volte mi spaventa e mi ricorda che non siamo nulla di fronte alle forze della natura.

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Quale scena hai amato maggiormente scrivere?

Ho amato tantissimo scrivere l’epilogo finale, anche se non posso parlarne in maniera approfondita. Diciamo che sono più un fan dei finale che degli inizi, e ci tenevo particolarmente a creare un finale che chiudesse tutte le storie dei personaggi ma, al tempo stesso, lasciasse una certa ambiguità. Devo dire che ho provato un’emozione incredibile quando finalmente ho tirato le fila di tutte le linee narrative disseminate nella storia, ma mi mancava ancora una chiusura d’impatto, qualcosa che lasciasse il segno. Alla fine ho trovato l’idea giusta scavando nei miei ricordi, in particolare il ricordo di una Via Crucis a cui ho assistito.


Quale invece ha richiesto più energie?

Anche qui, non voglio rivelare troppo ma c’è un capitolo piuttosto tragico che riguarda un personaggio che amavo, e che ho dovuto riscrivere più volte. Ho trovato la chiave giusta per scrivere quello che stava succedendo al personaggio solo dopo un’intensa sessione di zapping in televisione… e non dirò altro, ma è stato davvero estenuante.

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Autori e/o generi preferiti?

Come autori preferiti direi che il mio idolo è appunto Niccolò Ammaniti, amo come scrive, amo quel che scrive e ho avuto anche la possibilità, durante il festival letterario di Taormina, di consegnargli il mio romanzo e dirgli grazie per tutto quello che ha fatto. Lui è stato carinissimo, poi di sicuro ha altro a cui pensare che leggere il mio libro ma ci tenevo a dirgli che, se sono arrivato a scrivere un romanzo, è anche perché da ragazzino mi innamorai del suo “Io non ho paura”. Come generi prediligo i romanzi di formazione, distopici, psicologici o che abbiano qualcosa di insolito e fuori dagli schemi, alla Amélie Nothomb. Non amo molto i canoni, gli stereotipi e le storie ripetitive, specialmente quando raccontano la mia terra sempre allo stesso modo.


Progetti futuri?

Al momento ho due progetti in ballo: il primo è un romanzo umoristico fuori dagli schemi, e che credevo divertisse solo me. Ma poi la mia docente di scrittura e storytelling ne ha letto qualche capitolo, si è divertita pure lei e adesso vuole che io lo finisca. Il problema è che mi sono bloccato proprio sul più bello, ma prima o poi ce la farò, gliel’ho promesso. Il secondo è un romanzo storico ambientato a Catania, avevo iniziato a scriverlo ma, con l’aiuto dell’autrice Valeria Gargiullo che ho conosciuto allo scorso “Ju Buk Festival”, sono tornato alle basi, alla sinossi e ai personaggi, e ho rielaborato il tutto seguendo i suoi preziosi consigli. Adesso dovrei solo riscriverlo, il problema è quando. Mi sono dato come limite massimo questa estate, sfruttando le ferie. In pratica non mi riposerò mai, ma se non mi libero della storia che ho in testa continuerò a vivere di rimpianti, e se c’è una cosa che volevo comunicare con “Chiodo della terra” è proprio questa: liberati dai tuoi rimpianti. Fa’ solo ciò che ami.

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Qual è il tuo sogno letterario?

Il mio sogno letterario è di ricevere un giorno una mail da Niccolò Ammaniti con scritto: “Caro Roberto, mi è piaciuto il tuo romanzo. Vediamoci per un caffè”. Non accadrà mai, ma per sicurezza io il mio indirizzo mail gliel’ho lasciato.

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