“Anon” (2018) di Andrew Niccol

La privacy è finita. Tra l’accettare i cookie, identità digitali, i nostri dati sempre meno privati e a disposizione di tutti, la realtà è sempre più vicina a quella immaginata da Niccol nel suo settimo film. Un thriller di fantascienza uscito su Netflix in cui nello sguardo di ognuno vengono mostrati nomi, età, mestiere e informazioni di tutte le persone che incontra.

In questo futuro prossimo e distopico, la polizia ha la possibilità di visionare i ricordi delle altre persone per scoprire se hanno compiuto crimini. Nella prima scena, il nostro investigatore Sal (Clive Owen), incontra per strada una persona (Amanda Seyfried) il quale nome e le informazione non appaiono al suo passaggio. Indeciso se ritenere la cosa un errore del computer o considerare la ragazza una sorta di sovversiva, il protagonista continua per la sua strada. Arrivato a lavoro, Sal comincerà ad investigare su una serie di omicidi particolari dove l’assassino sembra essere riuscito ad hackerare i ricordi delle sue vittime così che in queste non sia registrato in memoria il volto del loro omicida.

Il resto della trama è incentrata sull’investigazione. Ciò che fin da subito funziona è l’ambientazione cittadina: una fotografia dai colori spenti, con molto uso di grigi nel rappresentare una metropoli asettica anche nella sua architettura. La critica alla società dove la nostra privacy si va a perdere fa da sfondo a un mondo dove si fa affidamento solo ai nostri ricordi. Ricordi che però possono essere modificati e falsati, ingannando le persone che ormai sono abituate a farci affidamento. La stessa fiducia cieca di un popolo che crede solo a ciò che gli viene fatto vedere. Niente di piu simile a quello che accade nella nostra realtà con l’influenza dei mass media. Le allegorie ci sono e quindi il film sicuramente sa metterci in guardia.

La narrazione scorre bene, anche se non ha un ritmo troppo sostenuto, e ci riesce grazie a una regia che offre delle inquadrature anche molto originali e utilizza il cambio del formato dello schermo, quando si passa dalla soggettiva dei personaggi alla soggettiva dei ricordi, facendoci molto impersonare nei protagonisti e nella scena.

La risoluzione della storia, sospettabile, arriva con un po’ meno forza di tutto il resto del film che invece ha una costruzione di situazioni, come il rapporto tra i protagonisti e il proseguimento dell’indagine molto lunga e che va a concludersi forse troppo in fretta e senza l’enfasi giusta. Il finale non emoziona troppo in poche parole, ma è l’unica pecca di un film che in realtà funziona e che visivamente mostra sempre belle immagini. Il risultato non è un capolavoro, ma un film godibile, intelligente e che sa intrattenere con il suo modo molto cupo creando un mondo affascinante ma che sarebbe meglio evitare.

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