Roberto Doni, sessant’anni, sostituto procuratore a Milano, moderatamente conservatore, ha una visione della giustizia legata alle regole e alle procedure. Tutto scorre liscio nella sua esistenza fino a quando una giovane giornalista entra di prepotenza nella sua vita professionale e gli fa assumere una visione delle cose del tutto diversa. Un libro che si colloca al confine tra la riflessione etica ed esistenziale, la denuncia civile e l’intreccio giudiziario. È lo stesso confine che Sciascia percorreva.

Titolo: Per legge superiore
Autore: Giorgio Fontana
Genere: Narrativa Contemporanea
Editore: Sellerio Editore Palermo
Data di pubblicazione: 28 Novembre 2011
Voto: 3/5
Cartaceo -> 13€ | Ebook -> 8,99€
Recensione
Questo lavoro di Giorgio Fontana, astro nascente della nostra letteratura con quattro (sono quattro, giusto?) pubblicazioni all’attivo e un Campiello, non mi è capitato per caso tra le mani. Sarò onesto: non sono rimasto folgorato da una quarta di copertina accattivante o da una grafica particolarmente evocativa (d’altronde quelle di Sellerio, nonostante la loro riconoscibilità, difficilmente lo sono). Leggere questo libro è stata una scelta, diciamo così, “funzionale”. Fontana insegna scrittura alla scuola Belleville ed io volevo iscrivermi al suo corso quindi, con la stessa pedanteria che mi ha contraddistinto negli anni dell’università, ho scelto di documentarmi sul prof. supponendo che, nelle sue parole, avrei ritrovato un’anticipazione di quello che può insegnare ai suoi studenti.
Il titolone, a dire il vero, mi entusiasmava: Per legge superiore. Mi ha dato subito l’idea di una contrapposizione, di una legge che “cede”, schiacciata da qualcosa di irresistibile che le si sovrappone. Nella lettura ho trovato affascinante il racconto in chiave romanzata di questa dicotomia, a volte insanabile, tra la pratica comune ed un senso morale più alto, sulla quale tanti di noi -anche più modestamente che scrivendoci sopra un libro che vuole essere anche un romanzo- si spingono a riflettere. È un lavoro denso, con diversi spunti -qualcuno anche di ispirazione squisitamente filosofica- evidentemente ragionati e che l’autore piega alla narrazione con una certa abilità (i chiodi che tengono su il palazzo in cui sorge il Tribunale con tutta la sua ricorrente precarietà ne sono un esempio, così come l’ambientazione in una Milano che evidentemente conosce bene anche nelle sue contraddizioni).
Da lettore, però, ad un certo punto ho iniziato a desiderare che il romanzo prendesse una piega più movimentata. Ho sperato che arrivasse la sterzata che mi facesse dire “uao”, ma purtroppo non è successo. La trama è piana, lineare. Forse troppo. L’ho seguita con piacere fino alla fine ma era chiaro dove stava andando a parare già a metà del libro. Ho continuato a sperare che il magistrato Doni facesse qualcosa di imprevedibile, ad un certo punto mi è sembrato quasi che quel momento stese arrivando, ma poi niente.
“Sia fatta giustizia e il mondo muoia pure”, dice verso la fine il nostro eroe, quando finalmente risolve il suo dubbio morale e capisce qual è la legge superiore con la quale si deve confrontare. Ti viene davvero da dire: “ma va?”.
È un po’ come vedere qualcosa di particolare nella vetrina di una pasticceria; che ne so, tipo un bigné blu, e poi accorgersi mordendolo che dentro c’è la crema come in tutti gli altri.
Ah. Alla fine al suo corso non mi sono più iscritto.