Isabel Allende, Lungo Petalo di Mare | Recensione

1939. Alla fine della Guerra civile spagnola, il giovane medico Víctor Dalmau e un’amica di famiglia, la pianista Roser Bruguera, sono costretti, come altre migliaia di spagnoli, a scappare da Barcellona. Attraversati i Pirenei, a Bordeaux, fingendosi sposati, riescono a imbarcarsi a bordo del Winnipeg, il piroscafo preso a noleggio da Pablo Neruda per portare più di duemila profughi spagnoli in Cile – il “lungo petalo di mare e neve”, nelle parole dello stesso poeta –, in cerca di quella pace che non è stata concessa loro in patria. Lì hanno la fortuna di essere accolti con generosa benevolenza e riescono presto a integrarsi, a riprendere in mano le loro vite e a sentirsi parte del destino del paese, solo però fino al golpe che nel 1973 fa cadere il presidente Salvador Allende. E allora, ancora una volta, si ritroveranno in esilio, questa volta in Venezuela, ma, come scrive l’autrice, “se si vive abbastanza, i cerchi si chiudono”.

Titolo: Lungo Petalo di Mare
Autore: Isabel Allende
Editore: Feltrinelli

Data di pubblicazione: 24 Ottobre 2019
Genere: Narrativa

Voto

Classificazione: 5 su 5.
Cartaceo -> 19,50€ | Ebook -> 12,99€

Recensione

Ho atteso questo libro negli ultimi anni con una fede instancabile, sicura che Isabel non mi avrebbe delusa. Il ricordo dell’amaro in bocca che mi avevano lasciato i suoi ultimi gialli, nei quali la sua anima poetica risultava così spaventosamente ingessata, era ancora troppo vivido per permettermi di accogliere questa opera a braccia aperte. Ma ogni pagina che passava mi confermava quanto il mio istinto non si era sbagliato: Isabel è tornata. Per un’amante dei suoi scritti non è difficile riconoscere quelli in cui ha traslato tutto il suo cuore: il titolo magnetico ed evocativo, omaggio alla poesia più straziante di Pablo Neruda, ‘’Cuàndo de Chile’’, non lascia spazio ad altre interpretazioni.

La ferita dell’esilio, antica e sempre fresca, tema che ha segnato la sua intera bibliografia, è ancora più tangibile in questo scritto, in cui per la prima volta è tinto delle tonalità calde e malinconiche del tramonto, spoglia ormai della lacerante violenza degli esordi giovanili.

Mai come con l’Allende ho capito l’importanza di un posto che possiamo chiamare ‘’casa’’ nel mondo. I luoghi non sono tutti uguali, noi non siamo tutti uguali, e nessuno di noi è fatto per un posto qualsiasi.

Non mi dilungherò sull’affascinante storia di Victor e Roser, non potrei renderle giustizia; mi permetto soltanto di dire che è una storia che vale la pena leggere per tanti motivi, in cui ciascuno di noi può trovare risonanza con le proprie corde. Quello che a me più ha toccato è la sottile bellezza del vivere sempre fedeli a noi stessi: quando tutto è perduto, quando coloro di cui ci fidiamo ci hanno tradito, quando la nostra stessa casa si trasforma da porto sicuro a giungla ostile, non ci resta che il nostro spirito a guidarci fuori dalla tempesta, e a riportare il nostro cuore nel posto giusto.

E a me piace pensare che adesso, come Victor e Roser, anche Isabel ci sia riuscita: che dopo tanto girovagare inquieto sia finalmente ritornata nel suo posto giusto, quel ‘‘largo pétalo de mar y vino y nieve’’.

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