Gennaio 2019
Scherzi di Capodanno parte 1.
Il 2018, con la sua rovinosa serie di sfortunati eventi, si apprestava finalmente a terminare. Con sollievo preparavo i bigliettini di carta con i più incresciosi accadimenti da dimenticare nel mio personalissimo falò di fine anno. L’incenso era acceso, Fluffy sdraiata a terra appagata dopo il suo lauto cenone a base di radicchio e lattuga. Mr. Fattone , che frequentavo al tempo, sedeva pigramente sul divano, guardando distrattamente la televisione e lanciando ogni tanto un’occhiata alla mia curiosa attività piromane.
<< Vedi di dar fuoco alla casa, mi raccomando >> disse tra una boccata e l’altra della sua onnipresente sigaretta con aggiunta di discutibile quantitativo di marijuana.
Non risposi. Nulla doveva rovinare quel magico momento.
E’ cosi guardai le piccole fiamme sprigionarsi dalle macerie della mia esistenza, le rovine di tutto ciò che non volevo più portare con me per un altro anno ancora. Le vidi ballare nell’aria fredda, cangianti, brillanti nel buio finché non si spensero. E di improvviso mi sentii infinitamente più leggera. Tirai un profondo sospiro, inalando tutta quell’aria in più che riuscivano ad incamerare i miei polmoni.
Era ora di prepararmi per il mio di cenone, una cena tra colleghi sfigalizzandi costretti a lavorare durante le vacanze di natale. Mentre mi apprestavo a farle una carezza, guardai affettuosamente Fluffy,, senza dubbio l’unica cosa bella dell’anno appena passato. Come al solito non ricambiò i miei slanci sentimentali: di solito la sua occupazione preferita consistenza nell’ignorarmi, ma io la prendevo con allegria, sicura che prima o poi mi avrebbe ricambiato. Quella sera tuttavia era più nervosa e di malumore del solito. Si alzò improvvisamente e si diresse dietro la dispensa, il suo nascondiglio preferito.
Mi diedi una mossa e in total black mi avviai verso la sede della cena. Non c’era molta aria di festa nell’aria: il freddo era pungente e per giunta nevischiava. A dare l’unica parvenza di capodanno erano i botti sparati in pieno centro e, per i più raffinati, i fuochi d’artificio nel giardino. Mi chiesi come proseguiva la battaglia di mia madre e del suo antipatico volpino contro i petardi. Pensai al mio di animale domestico: l’avrei sicuramente trovata intrattabile più tardi.
Fu una bella serata, ero spensierata, serena e al sicuro. Sensazioni fin troppo nuove.
Diverse ore più tardi, al rientro a casa, mentre giravo la chiave nella toppa, mi sentivo euforica: in cosi pochi mesi era cambiato cosi tanto, e a stento credevo a tutto quello che avevo conquistato.
Mi stavo infatti autocelebrando fin troppo. Quando entrai non c’era alcuna traccia di Fluffy. Dopo qualche infruttuosa ricerca, la trovai dietro la dispensa dove l’avevo lasciata.
‘’Che strano’’ pensai.
<< Sicuramente si è spaventata per i botti >>, fu il primo intelligente commento di Mister Fattone.
<< Forse..>> replicai. Ma in fondo non ero convinta. Probabilmente avevo sviluppato in quei pochi mesi insieme un discreto istinto materno.
Mi dissi che le avrei dato un’altra oretta per ricomparire, dopodichè l’avrei tirata fuori con le mie mani.
L’ora passò velocemente tra un bicchiere di vino e l’altro con Mister Fattone, senza alcun segnale dal roditore. Mi preparai al peggio. Scoprii il battiscopa del mobile, gli occhi verdi di Fluffy brillarono alla luce. La afferrai e la trascinai fuori. Mi sfuggi dalle mani ed immediatamente si mise a correre disperata per tornare nella sua tana. Nella concitazione non capii subito il senso di quel comportamento; la guardai meglio, e mi si mozzò il respiro in gola.
Fluffy si era trasformata nel remake animale dell’esorcista: la testa era completamente capovolta da un lato, l’occhio fuori dalle orbite rivolto al soffitto, il collo immobile in una posizione distonica. Capii perché i suoi movimenti mi sembravano cosi afinalistici: non riusciva a muoversi di un centimetro, perché ogni volta che ci provava si capovolgeva su se stessa in un terribile giro a 360 gradi. Non riuscii a pensare più a niente. Mi era sembrato tutto cosi bello. E invece. Non mi restò che scoppiare a piangere atterrita.
<< Che piangi?Forza portiamola dal veterinario >> fu il secondo intelligente commento di Mister Fattone.
Mi destai dalla mia disperazione.
<< E dove lo trovo alle 3 del mattino di capodanno un veterinario secondo te?!>> urlai furente.
Il terzo intelligente commento di Mister Fattone fu il silenzio.
Presi il telefono e iniziai a chiamare invasata tutti gli ambulatori veterinari della Brianza, senza ricevere risposta. Finalmente una segretaria mi rispose da una clinica a Milano, l’unica reperibile per tutta la zona. Mi suggerì di precipitarmi lì mentre avrebbe recuperato il veterinario Esotico reperibile. Già, perché il 1 gennaio 2019 imparai la prima lezione dell’anno: i conigli hanno dei veterinari dedicati, detti Esotici per l’appunto, la cui principale differenza rispetto ad uno qualsiasi sta nella cifra più elevata del compenso. E più tardi avrei scoperto che i gli Esotici sono i cardiologi della veterinaria. Presuntuosi, vanitosi ed egoriferiti.
Nel tragitto in macchina Fluffy aveva smesso di muoversi ed era immobile nel trasportino, talmente ferma che non riuscivo a capire neanche se respirasse. Ero lì pietrificata sul sedile anteriore, cercando a mia volta di respirare con la minima escursione toracica per non spaventarla. Mister Fattone guidava fumando senza sosta.
Arrivammo in questa lussuosa clinica in qualche punto imprecisato nei pressi di San Siro. Il Veterinario sarà stato anche presuntuoso, ma se non altro era veloce: arrivò prima di noi.
Biondo, occhi chiari, viso da angelo. Mi diedi un’occhiata in giro. Tra loro e le segretarie sembrava di essere in un negozio di Abercrombie.
‘’Apperò, sono carini questi veterinari’’, pensai.
Mi girai a guardare Mister Fattone, immobile e silenzioso contro la parete, gli occhi resi fucsia delle canne, lo sguardo fisso nel vuoto. In testa aveva un cappello a strisce rosso e blu che terminava con un pon pon. Non poteva essere più fuori luogo.
‘’Ma perchè mi accompagno a questi soggetti?’’ Pensai.
Finalmente fummo accolti dallo splendido Veterinario e dalla sua bellissima assistente con le trecce da pellerossa.
<< Allora, cosa succede?>>
Gli raccontai tutto d’un fiato. Annuiva con l’espressione di chi ha sentito la stessa storia mille volte. Tremante lo aiutai a recuperare la povera sventurata coniglia dalla gabbietta, mentre l’assistente ci interrogava sull’anamnesi. Appena poggiata sul tavolo, Fluffy tentò di scappare, cadendo miseramente su un fianco. Fece diversi tentativi di tirarsi su, ma come unico risultato continuò a sbattere sullo stesso lato. Sembrava uno scarafaggio che cercava di rimettersi in piedi. Sconfitta, si abbandonò sul fianco colpito.
Senza accorgermene ero di nuovo in lacrime. La sua resa mi aveva ferito più delle sue contorsioni.
Il Veterinario le fece qualche prelievo e le iniettò un paio di siringhe sotto il folto pelo.
<< Encefalite >> fu la terribile diagnosi.
<< Ma come! Cosa ho fatto?! >> urlai.
<< Niente, non è colpa tua. E’ un parassita che li infesta dalla nascita incistandosi in vari organi tra cui il cervello. Generalmente resta silente ma si riattiva in momenti di stress >>
‘’Praticamente Zac Efron qui mi sta dicendo che questo povero animale ha vissuto in pace 4 anni, sopportato la tragedia dell’abbandono, il terrore delle case famiglia per conigli, i trasporti in quella ridicola gabbia rossa per poi ammalarsi di encefalite a casa mia?’’
<< Momenti di stress >> mi riecheggiavano quelle parole nella mente.
‘’I botti’’
‘’O me?’’
Continuò a parlarmi dell’encefalite, del parassita, di come sia una malattia frequentissima nei conigli, di cui in genere il processo di guarigione è molto lungo con cure pesanti, di come spesso qualcuno non ce la fa, del fatto che quasi sicuramente sarebbe rimasta con la testa storta e pendente da un lato.
Nel frattempo Pocahontas continuava ad interrogare Mister Fattone, visto che io ero completamente persa nelle mie autocommiserazioni.
<< Qualcuno fuma in casa?>>, inquisì lei
<< Si >> rispose vergognoso Mister Fattone.
Sguardi di disapprovazione dall’indiana d’America. Mi sentii una mamma sciagurata, che portava in casa loschi individui.
Il Veterinario tornò a parlare. Piantò i suoi occhi azzurro verdi nei miei dicendomi chiaramente che bisognava ricoverarla. Fitta al cuore. ‘’Giammai! Non la lascerò anche io’’
Gli chiesi un minuto per pensarci un attimo.
Annuì e scomparve con l’intraprendente assistente, lasciandomi tutta la privacy di cui avevo bisogno.
Pensai di chiedere a Mister Fattone il suo parere, ma mi venne da ridere al solo pensiero.
La guardai, piccola, soffice, pelosa. Gli occhietti neri che mi fissavano.
‘’Non abbiamo ancora finito io e te’’
Il Veterinario e Pocahontas rientrarono. Ormai si erano fatte le 4 del mattino.
Mi feci spiegare in dettaglio le terapie che avrebbe dovuto subire. Mi ritenni abbastanza qualificata per somministrargliele io stessa.
<< Capisco, ma davvero preferisco che stia con me e nel suo ambiente >> gli risposi.
Vedendolo incerto, gli spiegai che ero un medico e che se proprio avessi avuto difficoltà mi avrebbe aiutato il baldo Mister Fattone, che a dispetto delle sembianze da lumaca ubriaca, era un discreto infermiere.
<< Allora va bene >>, si rassicurò. << Vi preparo le carte >>
Fluffy nel frattempo sembrava aver giovato delle iniezioni praticate. Dopo qualche altro eroico tentativo di rotazione antioraria, giaceva disarticolata sul fianco, tutta concentrata in un’operazione assolutamente vitale: la pulizia del ciuffo. Per ovvie ragioni era molto complicata, ma come tutte le femmine, riuscì a curare la sua vanità anche in un momento drammatico come quello: si leccava la zampetta per poi lanciarla in alto e all’indietro pettinandosi la criniera bianca. Alla fine dell’operazione sembrava Vegeta di Dragon Ball. Lo ritenni un ottimo segno. Con cautela la afferrai e la rimisi nel trasportino.
Mi diressi alla cassa con il cuore pesante e triste.
<< Sono 300 euro! >> strillò Pocahontas, arzilla e saltellante.
‘’Minchia e pensa se la ricoveravo ‘’ pensai, allungando il bancomat.
Sulla porta intercettai un altro veterinario che entrava. Alto, molto magro, occhi neri, bei lineamenti nonostante il viso spigoloso, folti capelli scuri come gli occhi, barba corta e curata.
Di nuovo guardai Mister Fattone sospirando.
<< Peccato però, era così bella >>, fu il suo ultimo intelligente commento.
Le settimane successive furono molto dure: Fluffy continuava a ribaltarsi disastrosamente sotto il peso della testa storta e delle vertigini, schiantandosi spesso a terra con forza. Fui costretta a mettere in sicurezza la sua area della cucina, delimitandola con un recinto e avvolgendola interamente in stracci e tappeti in modo che non si ferisse durante le catastrofiche capriole. Le davo da mangiare e da bere perchè da sola non riusciva ad alimentarsi. Rifiutava le medicine e presto dovetti infilargliele in gola con le siringhe. Le iniezioni quotidiane erano compito di Mister Fattone, la cui mano era stata resa ferma dagli anni di lavoro; poco dopo però mi lasciò perchè in quei due mesi con me si era reso conto di essere ancora innamorato della sua ex. Ormai sola e sempre più sconfortata, ogni sera le facevo il bagno perchè spesso finiva a rotolare sui suoi bisogni e la ritrovavo incrostata da capo a piedi; la avvolgevo poi in una coperta e la portavo con me sul divano, abbracciandola e coccolandola mentre guardavo la tv. Affondavo triste il naso nella sua pelliccia, tirando su con le narici per respirare a fondo l’odore di detergente alla camomilla. Credo che sia più o meno in quel periodo, tra schiuma e giravolte, che imparò a fidarsi di me.
Aprile 2019
Mi godevo il pomeriggio di una indolente domenica, ascoltando musica. L’aria era calda, gli uccelli cinguettavano e dalla finestra aperta mi accarezzava una leggera brezza.
Fluffy era tranquilla nel suo solito angolo. Ero riuscita ad alleggerire le barriere dato che le sue cadute erano progressivamente meno distruttive.
In sottofondo mi giunsero le noti possenti dei Queen con ‘‘The show must go on’’.
D’un tratto fui distratta da un movimento: Fluffy si era alzata. Fluffy stava camminando. Fluffy non stava più cadendo. Fluffy aveva ancora la testa storta ma non cadeva. Fluffy prendeva la rincorsa e saltellava per tutta casa senza neanche uno scivolone.
Alla fine tanto avevo detto e tanto avevo fatto che ero riuscita a guarirla: ma mi resi conto che in realtà curando lei avevo guarito me.
Qualche altra lacrima mi scese sul sorriso mentre lei e Freddie danzavano insieme per la stanza, lui con la voce, lei con le zampe.