
Oggi vi racconterò la storia della mia amica Cristina, perchè, assodato che io ho un feeling particolare per i casi umani, non bisogna dimenticare che la sfiga è democratica e di conseguenza, per la legge dei grandi numeri, ogni tanto capitano anche a qualcun altro.
Cristina era in momento storico in cui non era molto clemente con se stessa, eufemismo per dire che nel profondo si detestava con passione. Lo dico perché non riesco a trovare nessun’ altra spiegazione a quell’assurdo fidanzamento. Ma lo capisco, ogni donna attraversa questo momento di puro e profondo masochismo per poi risorgere dalle proprie ceneri in versione 2.0.
Cristina era per me una creatura stranamente esotica. Era la prima persona di origini sarde che avevo mai conosciuto, arrivata a Roma da qualche anno nelle vesti della mia nuova coinquilina, e già questo riempiva tutto il mio personale concetto di esotico. Parlava tanto, a voce tanto alta e con quel ritmo singolare che quasi sembrava una filastrocca. Fumava tanto, cucinava tanto bene e aveva tante amiche, con le quali spesso litigava anche tanto e si arrabbiava furiosamente almeno nella stessa misura in cui le adorava. Tutto di lei era ‘’tanto’’. Ma di tutto quel tanto, quello che più mi aveva colpito e in un certo senso anche lasciato un segno sul corso della mia esistenza, era che voleva tanto bene. Se eri così fortunato da entrare nelle sue grazie, sapevi che a prescindere da tutto avevi trovato la tua persona per sempre. Le porte della sua casa, come quelle del suo grande cuore, non erano mai chiuse, e quel suo essere a metà tra una mamma e un’ amica l’avevano resa con gli anni uno dei miei più grandi punti di riferimento.
All’inizio non era stato facile trovare una quadra, anzi. Penso che lei mi trovasse esotica forse più di quanto ce la trovassi io. All’apice della mia fase di stitichezza emozionale, quando finalmente notai i suoi timidi tentativi di instaurare un rapporto, mi chiesi perchè mai ci tenesse a perpetrare una pazzia del genere. Fondamentalmente li ignorai tutti con sincero disinteresse, ma lei continuava instancabile e determinata fin quando non decisi che se non altro la sua tenacia si era guadagnata la mia attenzione. Ci impiegammo altri due anni a prendere le misure: era tanto comunicativa ed esigente quanto era generosa e affettuosa. Io all’esatto opposto ero taciturna, selettiva e solitaria. Alla fine capii che dietro quelle che spesso vivevo come ingiustificate pretese, c’era l’assioma cardine dell’ esistenza di Cristina, ovvero il sapere con certezza che io fossi una persona su cui poter contare. Allo stesso modo lei comprese che i miei lunghi ed inspiegabili silenzi non erano disinteresse ma solo la necessità fisiologica di un’anima poco rumorosa e senza vincoli. Una volta esplicate reciprocamente le fondamenta delle nostre così diverse personalità, diventammo amiche inseparabili.
Diversi anni più tardi, con suo marito scherzosamente dichiarammo che se fosse un piatto di pasta, sarebbe senza ombra di dubbio stata una lasagna al forno: esageratamente buona e drammaticamente impegnativa.
Alla luce di tutto ciò, mi apparve indecifrabile il motivo per cui si prese una cotta colossale per Marco. Egli era tutto quello che non avresti mai voluto per la tua migliore amica, e forse nemmeno per la tua peggior nemica. Vanesio, arrogante, superficiale, infantile, narcisista, bugiardo. Le sue deprecabili tare apparivano del tutto comiche se confrontate con il suo aspetto: alto, con gli arti magri e la pancia da cinquantenne alcolizzato, il viso grasso e il naso da porcellino. Ciliegina sulla torta erano indubbiamente i suoi capelli, il suo più grande motivo di vanto: lisci, unti, che portava semilunghi con la riga centrale e che si scompigliava continuamente con una mano dalla fronte all’indietro nel tentativo di dare loro volume. Senza successo, poichè ricadevano svenuti ai lati del viso, più piatti di una tavola da surf. Mi faceva pensare a Nick Carter dei Backstreet Boys quando nel 1997 uscì il video di ‘’As long as you love me’’, in cui compariva con i famosi ‘’capelli a culo’’; ma, come potete ben immaginare, eravamo anni luce lontani sia da Nick che dalla texture della sua chioma.
Marco aveva conquistato Cristina a suon di ego smisurato, battute accattivanti e promesse di grandiosità. Purtroppo, presto mi resi conto che ad essere grandiose erano soltanto le sue arie da pallone gonfiato. La sua fama era preceduta dai racconti di Cristina, che per vergogna filtrava una buona parte delle sue malefatte, ma gli aneddoti che mi arrivavano erano sufficienti. La sconfortante idea di lui che mi ero fatta mi venne completamente confermata nel corso di una settimana di inverno, quando venne a trovare Cristina a Roma, nell’appartamento che divideva con me quando eravamo solo delle povere studentesse universitarie.
Giunse nella nostra casa in una fredda mattinata di gennaio, in occasione del suo compleanno. La quiete mattutina fu interrotta dalla porta traballante che si apriva, accompagnata da un fiume di commenti poco edificanti su tutto ciò che Marco aveva passato nel suo primo, unico (e ultimo) viaggio dalla Sardegna a Roma per far visita alla fidanzata. Una volta in casa si interruppe per dare una sprezzante occhiata al nostro umile domicilio, per poi riprendere il suo torrente di critiche. La voce si ovattava mentre si spostavano in camera, e, dopo quella spiacevole distrazione, tornai con la faccia sui libri. Circa mezz’ora dopo, Marco prese l’iniziativa di farsi una bella doccia per rimuovere le tracce del suo tragico viaggio in aereo. Lo sentii uscire dalla camera di Cristina, dirigersi ciabbattando verso il bagno e far scorrere l’acqua. A quel punto, un grido lancinante tagliò l’aria come un coltello. Cristina si precipitò fuori dalla stanza correndo in soccorso del suo amato. Mi mossi sulla sedia incerta sul da farsi, non ero sicura di voler incappare nella visione di quel vermiciattolo nudo. Ma non ci fu bisogno anche della mia mobilitazione: Marco era vivo e vegeto e fuori dalla doccia in tempo zero, avvolto nel suo accappatoio e già impegnato nella sua arringa di insulti contro quella casa sgangherata incapace di garantire persino un servizio essenziale come l’acqua calda.
<< Ma dove c… vivete??! >> continuava ad ululare furioso mentre Cristina cercava di calmarlo.
<< Mi dispiace, ho dimenticato di accendere lo scaldabagno! >>, si giustificava lei debolmente.
Sogghignai in silenzio: avevo notato la dimenticanza di Cristina, ma avevo deciso di non porvi rimedio. In fondo un getto d’acqua gelata avrebbe fatto bene a quel fastidioso villano.
Tuttavia le sue ingiurie iniziavano ad offendermi. Sentivo il bisogno di uscire in corridoio e picchiarlo con il tomo di anatomia patologica.
I due giorni successivi trascorsero pacifici, se non contiamo le continue lamentele e i fastidiosi battibecchi che Marco portava avanti con se stesso. Notai che raramente Marco e Cristina mettevano piede fuori casa. Appurato che non erano affatto impegnati in coinvolgenti amplessi, un giorno la incrociai da sola in cucina e le chiesi il motivo di quella reclusione. Annoverai la risposta nell’elenco delle cose che non vorresti mai udire nella tua vita:
<< Beh sai, lui ha problemi di colite. Quindi non possiamo uscire fin quando lui, ecco…almeno una volta è andato…per evitare che capiti in giro >>
Mi limitai a fissare il vuoto. Non c’erano risposte per la mia povera amica che ormai non riconoscevo più, così opaca e dimessa. Aveva tinto i suoi bei capelli corvini di rosso, come se alla grinta che la caratterizzava fosse rimasto quell’unico modo per affiorare all’esterno.
Quel giorno, Cristina stava preparando LA TORTA. Perchè appunto, quella non era una torta qualunque ma era la torta di compleanno di Marco, che avrebbe compiuto 27 anni quel weekend. Era maestosa, a circa tre piani e completamente ricoperta di panna e cioccolato. Oltre a quella – che a me sembrava già fin troppo per quell’incivile – lei aveva comprato un viaggio a sorpresa per Bologna, terra in cui lui aveva studiato all’università prima di doversi ritirare per oscuri motivi.
Dopo qualche ora, la possente preparazione torreggiava nel primo ripiano del frigorifero, completa di candeline e decorazioni variegate.
<< Secondo me, queste torte le devi vendere >> , le dissi. Qualunque cosa pur di dirottarla lontano dallo zotico ingrato.
<< Magari un giorno! >>
Mi ritirai nella mia stanza lasciando loro la privacy del soffio della candela e della rivelazione del regalo. Poco dopo, altre urla di lui. Non potevo crederci.
<< No no E NO! Io non parto se non mi dici dove andiamo! Chissà dove mi porti! >>.
<< Marco ma è una sorpresa, dai! >>. Cristina era ormai sfinita.
<< Tu vuoi portarmi in qualche posto terribile del sud. Tipo in Calabria. Nono io non vengo! Al sud non ci vengo! >> lo sentivo sbraitare come uno sciagurato leghista.
Da sola con il mio onnipresente libro di anatomia, mi immaginavo la scena che accadeva in cucina. L’acceso dibattito, la capigliatura che sventolava al passo delle sue lagnanze. Fantasticavo sulla mia entrata trionfale con in mano il mio inseparabile trattato, Cristina che tentava di fermarmi mentre lo brandivo come una spada, lui che levava le braccia per proteggersi la piega, il tonfo sordo del libro su quel cranio vuoto. Ma rimase solo una splendida fantasia.
<< Ho comprato dei biglietti per Bologna >>, si arrese quell’anima sconfitta.
<< Ah. Bè Bologna va bene >>, ebbe anche il coraggio di rispondere lui.
Si allontanò fischiettando per prepararsi la valigia, i capelli svolazzanti. Approfittai della sua assenza per raggiungere Cristina, che con aria disfatta riponeva la gigantesca torta – intatta – in frigo.
Quello mi parve un oltraggio ancora peggiore della conversazione che avevo appena avuto la sfortuna di udire.
<< CRI’, MA NON L’HA NEMMENO ASSAGGIATA?! >>
<< Mi ha detto che il lattosio gli peggiora la colite >>, rispose lei a bassa voce.
Non ne potevo più: vomitai tutti gli epiteti che mi ero tenuta per me da quando era iniziata quella inconcludente frequentazione. Cercavo di scuoterla, cercavo di convincerla a non partire, cercavo di ficcarle in testa che quell’essere non meritava un ulteriore briciolo del suo tempo. Ma non ci fu verso, non mi ascoltava. Quando la crocerossina che è in noi si mette in moto, non c’è più niente da fare.
Quel venerdì sera partirono alla volta di Bologna, mentre io uscivo con i miei amici. Mi sfogai con loro riguardo ai maltrattamenti a cui dovetti assistere. Erano senza parole, ma tutti concordi sul misfatto più grave: la torta. Decisi a porvi rimedio, a fine serata ci recammo a casa mia per lo spuntino delle tre del mattino. Con solennità aprii il frigo e afferrai LA TORTA, riponendola sul tavolo nell’ammirato stupore generale. C’erano ancora le candeline che affondavano disgraziate nella panna.
<< Ho un mal di schiena. Già ho preso un Oki.>>, disse il mio amico Orazio. << E adesso tocca prendermi un Gaviscon per mangiare questa cosa >>.
<< Sei un vecchio demmerda >>, gli rispose ridendo Gianni. << Dai facciamo i cretini. Facciamo finta che è il tuo di compleanno, mettiti dietro la torta >>.
Orazio ubbidì e si diresse verso il tavolo con l’intento di farsi fotografare, simulando un bastone immaginario che lo aiutava a camminare. Gianni invertì le candele.
<< Buon settantaduesimo nonno Orazio! >>, ridevamo mentre lui posava per le foto di rito.
Ci divertivamo con poco. Ma soprattutto ero contenta di aver regalato un finale più nobile a quella meravigliosa creazione. Era indescrivibile, nel suo tripudio di panna, crema e cioccolato. Quel cafone non aveva idea di cosa si era perso, lui e la sua immaginaria colite. Lasciai una fetta da parte per Cristina.
Il giorno dopo, lei mi chiamò disperata: stava rientrando da sola a Roma poichè Marco aveva deciso di lasciarla, senza troppi preamboli nè spiegazioni, apparte quella di non essere sicuro dei suoi sentimenti, e con l’implicita ammissione di un tradimento. Tirai un sospiro di sollievo: quello scarabocchio umano doveva uscire dalle nostre vite in un modo o nell’altro. Anzi fui grata che stava succedendo così velocemente.
Accolsi una Cristina distrutta e in lacrime, ma comunque più dignitosa di quanto l’avessi mai vista nelle ultime settimane. Le diedi la fetta di torta che avevo nascosto per lei, e le mostrai le foto della sera prima. Finalmente dopo mesi l’aria angosciata fece posto ad una risata.
Furono tempi duri per Cristina, ma dopo tanti pianti e tormenti, tornò agli antichi splendori: raggiante di forza, autostima, e con i brillanti capelli neri.
Qualche anno dopo, Marco tornò a farsi sentire. La aggiornò sulle novità, dicendole che aveva passato un brutto periodo: gli avevano diagnosticato un tumore al cervello, che per fortuna avevano prontamente rimosso dopo una delicata operazione chirurgica. Le disse che probabilmente era quella la ragione dei suoi incredibili sbalzi d’umore e dei suoi deplorevoli comportamenti. Non le chiese scusa, ma aveva tutta l’aria di stare per tentare un nuovo aggancio. Ma purtroppo per lui, e per fortuna per tutti, Cristina era ormai felice con quello che sarebbe poi diventato suo marito. Aveva un bellissimo lavoro nei pressi di piazza del Popolo e per hobby vendeva le sue magnifiche torte. Lo salutò augurandogli un sincero in bocca al lupo. Ormai aveva ucciso la crocerossina che era in lei.
Venne da me subito dopo con la notizia. Restai sbalordita: era davvero una storia singolare, non si poteva negare.
<< Grazia, ti rendi conto? >>, mi disse lei ridendo. << Sono riuscita a far innamorare persino il suo tumore! >>
<< Non lo so Cri, io un tumore così stronzo non l’ho mai visto >>.
Alla prossima amici!