È con il primo caffè della giornata che si mette in moto per la protagonista di questa storia, ormai arrivata all’età dei bilanci, una macchina del tempo in grado di generare ricordi. Nata in una malanotte che partorisce solo figlie femmine, si rende presto conto di aver subìto un imprinting familiare che l’ha fatta sentire sempre sbagliata. Per essere accettata si infila in un contenitore pensato per accogliere un maschio, che le sta però stretto. Si ribella, esce dai confini disegnati per lei, e si scrolla di dosso le convinzioni limitanti che l’hanno forgiata. Scopre così la sua voce, ma si ritrova anche nuda, esposta alle intemperie della memoria, senza più un guscio che la ripari, ma felice di riconoscersi Femmina senza più nessuna costola da ringraziare per stare al mondo.
Titolo: Malanotte e la figlia femmina
Autore: Brillante Massaro
Editore: Scatole parlanti
Genere: Narrativa
Data pubblicazione: 2 Ottobre 2023
Voto: 3.5/5
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Recensione
Ben tornati a tutti lettori, oggi sono qui per parlarvi di un altro libro edito Scatole Parlanti “Malanotte e la figlia femmina” di Brillante Massaro.
“A mala nuttata e ‘a figlia femmena” è un proverbio napoletano che racchiude una duplice sfumatura di significato: da un lato, l’idea di una serie di eventi negativi che si susseguono, dall’altro, un retaggio culturale che considerava la nascita di una figlia femmina come un evento non auspicabile quanto quella di un figlio maschio. La “mala nuttata” si riferisce al travaglio del parto, spesso lungo e doloroso, che poteva essere visto come un evento negativo in sé. In una società patriarcale, le figlie femmine erano considerate un onere per la famiglia, in quanto richiedevano una dote per sposarsi e non contribuivano al lavoro nei campi come i figli maschi. Questa quindi l’origine del proverbio, da cui scaturisce poi il titolo del libro.
La protagonista, sin da bambina, aspira a diventare un saldatore, un mestiere tradizionalmente maschile. Il suo desiderio di “aggiustare le cose” diventa una metafora di poesia e speranza. Tuttavia, la vita presenta ferite profonde che non possono essere sanate. La protagonista, donna ormai matura, compie un viaggio introspettivo grazie al potere evocativo del caffè. Nata in una famiglia che considerava le figlie femmine una sfortuna, si è sempre sentita inadeguata. Per essere accettata, ha cercato di conformarsi a un modello maschile che però la soffocava. Liberatasi dalle pressioni familiari e sociali, trova la sua vera voce e la sua identità di donna.
Il romanzo si prospetta come un viaggio introspettivo sulla forza d’animo e la ricerca di un senso nella complessità del vivere. La storia è una metafora della rinascita e dell’emancipazione femminile. Una donna che si ribella al destino che le era stato imposto e conquista la sua libertà di essere sé stessa.
I ricordi d’infanzia della protagonista ruotano attorno al cortile, luogo di libertà e vita, dominato dalla figura di Zi’ Nannina. A scuola, invece, regna la rigidità della lingua italiana, avvertita come una minaccia alla sua identità. La protagonista si ribella alle regole e cerca un compromesso, esprimendosi in un’interlingua che mescola le due lingue
Abbandoniamo l’idea del romanzo lineare. Il testo che ci troviamo di fronte si discosta dalla struttura classica, offrendoci un flusso narrativo in cui la protagonista si lascia trasportare dai propri pensieri, ricordi e sensazioni.
Un viaggio introspettivo non sempre facile da seguire. I ricordi emergono in modo non lineare, sollecitati da fattori esterni come odori, colori e sapori. La narrazione, di conseguenza, non è sempre fluida e richiede un lettore attento e disposto a immergersi in questo flusso di coscienza.
L’inserimento di frasi in dialetto rappresenta un elemento peculiare del libro. Per chi, come me, non lo conosce, la lettura può diventare una sfida. Ci si trova di fronte a parole incomprensibili che, a volte, interrompono il flusso narrativo. Tuttavia, non si può negare che il dialetto aggiunga una profondità e una contestualizzazione maggiore al testo. Le parole dialettali assumono un valore evocativo, trasportandoci in un mondo fatto di ricordi, di tradizioni e di cultura locale. È come se l’autrice ci aprisse una finestra su un universo nascosto. Un universo che, per chi non conosce il dialetto, rimane solo parzialmente accessibile.
Cosa fare, dunque? Arrendersi e rinunciare alla lettura? Oppure, accettare la sfida e immergersi in questo mondo sconosciuto, con la speranza di coglierne almeno una parte? La scelta è personale. Personalmente, ho trovato che il dialetto, pur ostacolando la fluidità della lettura, abbia comunque arricchito la mia esperienza. Mi ha permesso di conoscere meglio la cultura e le tradizioni del luogo in cui è ambientata la storia. E mi ha fatto riflettere sull’importanza di preservare le lingue minoritarie, che sono un patrimonio prezioso da non disperdere.
In definitiva, l’uso del dialetto è un elemento che rende il libro più complesso e sfaccettato. Non è un elemento facile da approcciare, ma può regalare al lettore un’esperienza di lettura più ricca e coinvolgente. Un’opera per una nicchia di lettori. Lo stile potrebbe non essere adatto a tutti. Tuttavia, l’autrice riesce a raggiungere il suo obiettivo, trasportandoci nel mondo interiore della protagonista e regalandoci una lettura ricca di spunti di riflessione. In definitiva, il libro si rivolge a un pubblico di lettori esigenti e disposti ad affrontare una lettura non convenzionale.
