L’arte dell’equilibrio: il percorso di PZ tra dualismi, identità e una musica che non chiede conferme #Intervista

L’intervista con PZ esplora il suo approccio artistico e i messaggi dietro la sua musica, che affronta le pressioni sociali e i dualismo interiori. PZ, rapper con oltre vent’anni di esperienza, è noto per la sua etica di massimo rispetto nel trattare temi delicati come la salute mentale. La sua musica e i suoi video, come quello girato su una scacchiera, riflettono la lotta tra l’istinto e la razionalità, il bianco e il nero, tipici della vita contemporanea.

Il confine tra usare un termine come “bipolare” in modo metaforico e trivializzare un disturbo effettivo è molto sottile. Come ha gestito questa delicatezza in fase di scrittura, per assicurarsi di non scivolare nel sensazionalismo?

Ciao! Ho amici e conoscenti che soffrono di questo disturbo e andiamo più che d’accordo. Quando scrivo mantengo sempre un’etica di massimo rispetto di quel che tratto; la mia peculiarità è non scadere mai nel banale.

Il brano racconta la difficoltà di tenere insieme tutto in una società che chiede efficienza continua. Quali sono le pressioni più evidenti che lei stesso sente e che ha voluto tradurre in musica?

Quella di mostrare continuamente la propria vita sui social, quella di voler possedere cose solo per poi mostrarle e apparire. Ma alla fine, ciò che conta davvero, è la salute, fisica e mentale. La tecnologia aiuta, ma se usata in malo modo ci rende pigri.

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Il videoclip è girato su una scacchiera, simbolo di dualismo, bianco e nero, istinto e razionalità. Quale messaggio specifico voleva trasmettere attraverso questa analogia e come si collega al concetto del brano?

Questa vita ci porta allo stremo, mostrando 2 facce di noi, quella che non ce la fa più, e quella che sta dentro al regime calcolando ogni passo. Mi ha colpito molto la Nuova scacchiera di Palazzo Te a Mantova, la città dove vivo. Le pedine e il terreno di gioco hanno un formato a misura d’uomo, come location ho pensato fosse perfetta per esprimere questo concetto di diversità, e per sottolineare quanto fosse importante calcolare ogni mossa, il bianco e il nero, le due facce di noi.

Lei ha iniziato la sua carriera nella scena hip hop indipendente dei primi anni 2000. Cosa è cambiato in questi vent’anni nel modo di fare musica e nel suo approccio artistico, e come vive il passaggio dall’essere un rapper a un artista che “non chiede conferme”?

La musica bella non ha genere, ascolto sempre le nuove uscite perché mi piace stare al passo con i tempi. Ora noto che la musica è molto più veloce di allora, resta meno nel cuore della gente, ma è normale le cose cambino, e non ci dovremmo abituare perché cambieranno nuovamente. Io produco sempre, indistintamente: devo scrivere a tempo sul boom bap per stare meglio, e mi relaziono al tempo che sto vivendo. Non posso dirvi se sia meglio o peggio di prima, perché alcune cose sono peggiorate ed altre migliorate. È un’evoluzione continua e siamo dentro al turbine, sbattendo su ogni parete guardando vecchi e nuovi panorami da perlustrare.

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Biografia.
PZ, all’anagrafe Raffaele Michael Piazzolla, è un rapper e autore nato a Modena e cresciuto artisticamente a Mantova. Attivo dai primi ’00 nella scena hip hop indipendente, ha calcato palchi e festival in tutta Italia, condividendo lineup con artisti come J-Ax, Marracash, Club Dogo, Dargen D’Amico e Tormento. Nel suo percorso ha pubblicato due album (“Parametri Zero” e “Rap_Pare”), il doppio mixtape “ONE SHOTAPE – Tape A & B”, l’EP “Squali”, e una manciata di singoli che hanno definito e assestato uno stile riconoscibile: spigoloso, essenziale, lontano dai codici più battuti. PZ cura in prima persona ogni fase produttiva – dalla registrazione al mix, fino al master – e ha approfondito anche la tecnica vocale, per avere pieno controllo sulla resa artistica dei suoi brani. Oggi collabora con il producer Gloomy Note, al secolo Leonardo Visan, con cui ha avviato una ricerca sonora che unisce istinto e controllo, pulsazione e silenzio. Scrive partendo da ciò che vive, non da ciò che funziona. E con Gloomy Note ha trovato una direzione nuova: un suono “sbilanciato” ma calibrato, e il ritmo intermittente di chi prova a rimanere sé stesso. Un suono cucito per aderire, per stare addosso alle parole, non per abbellirle. Figlio di un’identità che non chiede conferme. E che non ha paura di risultare scomoda.

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