Marco Severi: “Sogno una musica che possa essere ovunque” #Intervista

il

Benvenuti a un nuovo appuntamento con le nostre interviste. Oggi abbiamo il piacere di dialogare con il Maestro Marco Severi che ha fatto della musica come bene comune la sua missione. Le sue scelte artistiche, come quella di riportare l’opera nei luoghi simbolo delle nostre città, al di fuori dei tradizionali teatri, riflettono una profonda visione: quella di restituire alla musica classica il suo ruolo originario di linguaggio universale, capace di emozionare e unire le persone. Attraverso le sue parole, scopriremo il significato più profondo di queste iniziative, il futuro che immagina per la musica classica e come il suo approccio “da cuore a cuore” trasformi ogni esecuzione in un’esperienza condivisa.

Maestro Severi, dopo trent’anni come primo violoncello al Maggio Musicale Fiorentino, ha intrapreso la carriera di direttore d’orchestra. In che modo questa lunga esperienza da strumentista ha influenzato la sua visione e il suo approccio alla direzione, soprattutto rispetto al concetto di “musica come relazione”?

Ho avuto il pacere di lavorare con alcuni dei più grandi direttori della nostra epoca – Riccardo Muti, Zubin Mehta, Claudio Abbado – e da ognuno di loro ho imparato qualcosa di prezioso. Non solo a livello musicale, ma anche umano. Stare per trent’anni all’interno di un’orchestra ti insegna che la musica non è mai un atto isolato: è dialogo, costruzione condivisa.

Quando sono passato sul podio, ho portato con me questo bagaglio: l’ascolto prima della parola, la consapevolezza che un’idea musicale prende forma solo se accolta, interiorizzata e restituita da chi la suona. Il direttore non impone: facilita, guida, accompagna. La mia visione si fonda su questo principio di relazione. È lì che nasce davvero la musica.

Annunci
Dirigere “La Traviata” in Piazza del Campo a Siena è un evento fortemente simbolico. Qual è il significato più profondo, per lei, del riportare l’opera nel cuore civico delle città, al di fuori dei teatri tradizionali?

Riportare l’opera in una piazza – e non una qualsiasi, ma Piazza del Campo, luogo iconico – è un gesto che va oltre lo spettacolo. È culturale, civile.

A Siena, l’opera mancava da vent’anni. Tornarci con “La Traviata” significa restituire alla città un pezzo della sua storia artistica, riportare la musica nel luogo dove la comunità si ritrova. L’opera, nata per parlare al popolo, deve tornare tra la gente. Non per “semplificarsi”, ma per ritrovare la sua funzione originaria: creare partecipazione, emozione, riflessione.

Quando l’arte entra nei luoghi della vita quotidiana, smette di essere esclusiva e torna ad essere necessaria.

Guardando al futuro, quale ruolo immagina per la musica classica nella società contemporanea, in un’epoca dominata da forme di intrattenimento sempre più immediate e veloci?

La grande musica ha un passato straordinario, ma soprattutto – se sapremo coltivarla con intelligenza – ha un futuro altrettanto ricco.

Oggi il pubblico è spesso bombardato da stimoli rapidi, da contenuti consumabili in pochi secondi. La musica classica chiede l’opposto: attenzione, tempo, apertura. Per questo può essere un antidoto prezioso alla frenesia dell’oggi. Ma perché funzioni, non basta eseguire bene un programma. È necessario creare contesto, facilitare l’ascolto, coinvolgere senza mai banalizzare. Il mio compito, ogni volta che salgo sul podio, è costruire un ponte, un anello di connessione: tra i musicisti e il pubblico, tra l’opera e la contemporaneità. E questo si costruisce con la parola giusta, con una spiegazione semplice, con un gesto sincero. Non serve semplificare la musica, serve renderla viva. Vicina.

Annunci
La frase con cui chiude ogni concerto, “Da cuore a cuore”, è tratta dalla Missa solemnis di Beethoven. In che modo cerca di trasmettere questo spirito – la musica come passaggio, esperienza condivisa, linguaggio che unisce – sia all’orchestra che al pubblico?

“Da cuore a cuore” non è un motto, ma una responsabilità.

La musica non è mai fine a sé stessa: è un passaggio di emozione, un’esperienza collettiva che accade nel momento dell’ascolto. E in quel momento, chi è sul palco e chi è in platea – o in piazza – condivide un tempo, uno spazio, un sentire. Il mio obiettivo non è impressionare, ma far sì che ognuno – anche chi ascolta per la prima volta – si senta parte di qualcosa. Non importa se non capisce tutto. Importa che senta. Se alla fine di un concerto una persona si porta via una sensazione, una vibrazione interiore, allora la musica ha compiuto il suo viaggio. E noi, come interpreti, abbiamo adempiuto al nostro compito.

Dopo questa Traviata così significativa, ci sono altri contesti in cui le piacerebbe portare la musica? Come immagina il futuro del suo percorso artistico in relazione all’idea di “musica come bene comune”?

Sogno una musica che possa essere ovunque. Nei grandi teatri, certo, ma anche nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi dove meno ce la si aspetta.

Quando posso, mi piace parlare con il pubblico prima del concerto: racconto cosa andremo ad ascoltare, con parole semplici, senza tecnicismi. Voglio che la musica sia un’esperienza condivisa, non un territorio riservato a pochi.

Credo che l’artista, oggi, debba mettersi in gioco come “rappresentante”, non come statua. Deve trasmettere, non solo eseguire. Suscitare emozioni, non solo perfezione. E se anche solo una persona, dopo aver ascoltato un brano, si sente più ricca interiormente, più vicina a qualcosa di bello, allora quella musica ha fatto la sua parte. È questo che intendo quando dico che la musica è – e deve essere – un bene comune.

Annunci

Ringraziamo il M° Severi per averci accompagnato in questo viaggio attraverso il potere trasformativo della musica, un’arte che, come abbiamo visto, è davvero un bene comune.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.