Brillante Massaro è nata a San Nicola La Strada (CE) nel 1953. Docente in pensione, per decenni si è occupata di formazione in ambito metodologico-didattico e ha pubblicato articoli su riviste specializzate di educazione linguistica. Con il Gruppo Editoriale Raffaello sono stati dati alle stampe due testi di narrativa scolastica per ragazzi: Emozioni in gioco (2015) e A che gioco giochiamo (2018). Numerosi suoi racconti sono inoltre apparsi sia online che in cartaceo.
Puoi raccontarci di te e del tuo percorso di scrittrice?
Parte da lontano la mia scrittura, prima i racconti, poi due libri di narrativa scolastica editi dal Gruppo editoriale Raffaello dove ho utilizzato la forma del diario per affrontare i temi cari ai ragazzi: il rapporto con i genitori, con i pari, con i social e quant’altro. Un tentativo per fare scuola in modo diverso per cercare una voce che fosse più vicina ai ragazzi e al loro mondo. Il romanzo è arrivato tardi, esordisco a settant’anni suonati, dopo una vita vissuta appieno con brusche cadute e risalite. Un guardarsi indietro per andare avanti, un ripensare, sull’onda lunga del ricordo, a ciò che ero e ciò che sono diventata. Senza sconti e senza peli sulla lingua, nuda, venuta al mondo per la prima volta.
Che cosa ti ispira a scrivere?
La scrittura è per me un modo per conciliare il mondo di dentro e quello di fuori; due mondi che talvolta fanno a cazzotti o fingono di andare d’accordo per quieto vivere. È un modo per dialogare con me stessa, un cercarmi per ritrovarmi. Noi siamo lo spazio che occupiamo non solo fuori ma anche dentro di noi. Spesso però ci nascondiamo a noi stessi per paura di scoprire qualcosa di noi che non ci piace, che mal si coniuga con ciò che crediamo di essere, e ci difendiamo, anche da noi stessi. Ma il passato non passa mai, ritorna, sotto altre vesti. E basta poco per portarlo alla luce: il gesto di uno sconosciuto per strada, un odore, una risata improvvisa con le spalle che sobbalzano. Tutto è occasione di scrittura e ti riporta indietro nel tempo.
Qual è il tuo processo di scrittura? Come ti organizzi per scrivere?
Inizio a scrivere a mano, trascrivo sul pc, poi di nuovo a mano. Raccolgo le idee improvvise anche sul blocco note del cellulare, poi le rivedo, le trasformo, le trascrivo. Ritorno più volte su quello che ho scritto, la rilettura è la spinta per procedere, per andare avanti. Poi quando ho finito inizio la fase di revisione che è lunghissima. Torno più volte su qualche passaggio che non mi convince, lo cambio, lo lascio sedimentare, lo rileggo dopo qualche giorno, se lo trovo convincente bene, altrimenti ricomincio. Lavoro molto sul lessico, cerco il termine giusto e non mi accontento di un sinonimo qualsiasi e non sono contenta fino a quando non ho trovato quello giusto, quello che mi fa dire: eccoti, sei tu.
Come nasce Malanotte?
Dalla necessità di una esplorazione emotiva per capire le origini delle mie emozioni: rabbia, paura, vergogna, senso di colpa. Dalla necessità di incontrare le mie emozioni e guardarle negli occhi e in qualche misura fare pace col mio passato, assolvermi per poter andare avanti. Non a caso il libro si apre con una citazione di Lidia Ravera che è stata la mia bussola: “Infanzia, adolescenza, giovinezza, maturità vecchiaia. Sono paesi separati. Se si odiano l’uno con l’altro, la colpa è degli stereotipi che li ingabbiano. Odiarsi tra vicini è pericoloso, è così che scoppiano le guerre”. I miei paesi vicini, imprigionati negli stereotipi, hanno lottato per buona parte della mia esistenza, era arrivato il momento di pacificarli con un’opera di mediazione, cercando di capire le ragioni delle mie varie parti. Scongiurare la guerra tra le parti, a questo è servita la scrittura. Nel momento in cui il conflitto esce allo scoperto per vivere sulla carta, in qualche modo ti abbandona, guadagna un suo spazio e ti libera. Per me la scrittura è un atto liberatorio, il fatto stesso di oggettivare un pensiero mettendolo su carta è renderlo altro da te, non smette certo di appartenerti, ma ti appartiene in modo diverso senza quel ruminare continuo che ingigantisce o sminuisce eventi a piacimento. Quello sulla carta è tuo e contemporaneamente non lo è più nel momento in cui si fa corpo, un corpo altro.
Come hai scelto le tematiche presenti nel libro?
Sono loro che hanno scelto me portandomi avanti e indietro nel tempo senza nessun percorso preconfezionato. Le voci delle donne abitano il silenzio e io volevo dare voce a quella bambina scontenta, quell’adolescente ribelle, a quella donna che sente di non essere mai abbastanza, che si sente sempre inadeguata, stretta in una morsa tra come la vorrebbero gli altri e come si vorrebbe lei, al malamore che l’ha accompagnata nella vita e volevo avessero una seconda opportunità. “L’onda sulla battigia del ricordo è lunga, va avanti e quando ritorna indietro porta via tutto quello che trova sul bagnasciuga. Lo sciabordio ammisca le cose, le confonde, e quello stava sopra va sotto, e quello che galleggiava è sepolto vivo e affoga”. Il caffè diventa il pre-testo per una navigazione senza una apparente rotta. Una macchina del tempo che non puoi comandare, che procede autonomamente che pesca alla rinfusa e incolla, ricama, ricostruisce nessi non immediatamente visibili. Sono la vecchia Zì Nannina che fa i malocchi nel cortile e la giovane ribelle che vuole farsi bocciare per ferire i suoi, sono l’insegnante attenta ai bisogni degli studenti, la giovane donna che vuole prendere le distanze da sua madre e sono la madre che ne replica il copione appendendo al muro suo figlio. Sono tutte le contraddizioni che mi hanno forgiata e che ho avuto modo di vedere nero su bianco.
Quale capitolo hai amato più scrivere e quale è stato più ostico.
Il capitolo che mi è più caro è il primo, la figura del nonno è stata sempre mitologica per me, gli attribuivo la facoltà di generare metamorfosi con la sua forgia, di cambiare il senso delle cose. Quello più ostico è stato quello su mio padre, ho dovuto tirare fuori la rabbia soffocata e vederla lì sulla pagina non è stato semplice, mi sono sentita cattiva e irriconoscente. Ancora una volta, quando ho dato ascolto al mio sentire, ho dovuto fare i conti con i sensi di colpa. Quando si ha a che fare con un padre padrone, quando si è immersi in una cultura patriarcale che ti confeziona il vestito da indossare, quando rifiuti un copione di vita disegnato da altri, ti senti sempre sbagliata. Consapevolizzare non basta, certo è un primo passo, ma la strada è lunga e tutta in salita.
Autori preferiti?
Erri De Luca che per me ha una sensibilità molto vicina a quella femminile, ma anche Domenico Starnone, Dario Voltolini, Sandro Veronesi, Alessandro Baricco giusto per fare qualche nome, ma per lo più preferisco le scrittrici. Sono tante. In primis Elena Ferrante, letta più e più volte. Poi Margaret Atwood, Antonella Di Pietrantonio, Maria Grazia Calandrone, Giulia Caminito, Antonella Lattanzi, Elvira Seminara, solo per citarne alcune. Le parole al femminile mi risuonano meglio, mi danno la possibilità di cercare meglio dentro di me, e mi scovano sempre, in qualsiasi angolo io mi sia rintanata.
Progetti futuri? Qual è il tuo sogno letterario.
Non ho più l’età dei sogni, un libro è un figlio, lo metti al mondo ma poi te ne devi occupare, devi accudirlo, consigliarlo, instradarlo. E si sa il mestiere più difficile è quello del genitore.
