Ben tornati a tutti lettori, oggi torno a scrivere per una chiacchierata con l’Autrice di “Qui e altrove” Christina Nike Gagliardi
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Christina Nike Gagliardi è nata a Cagliari nel 1983. Attualmente vive e lavora a Sassari. Con il racconto Prima persona singolare ha vinto il premio “Sinergie Creative” 2014. Ha pubblicato il racconto Una convivenza difficile – poi tradotto anche in francese e in inglese – sulla rivista internazionale “Interpret Magazine”
Come descriveresti te stessa come scrittrice?
Non credo di potermi definire una scrittrice, per me è molto più semplice – e credo anche più onesto – definirmi una lettrice accanita e un’amante della letteratura. Scrivere è solo uno dei molti modi per declinare questa passione, un differente approccio all’imperitura arte del raccontare storie: credo sia più che naturale per chi ha letto tanto e per chi ha reso le narrazioni il proprio oggetto di studio e di ricerca cercare di portare sulla pagine le proprie invenzioni: io lo faccio da quando ero bambina, quando riempivo quadernini con la mia brutta calligrafia e li definivo i miei “romanzi” o quando, da adolescente, davo vita a poesie sgangherate. “Scrittrici” e “scrittori” sono per me quelle creature leggendarie che hanno dedicato e che dedicano la propria vita alla sola scrittura, a cercare di avvicinarsi, un’opera dopo l’altra, a ciò che desiderano ottenere da questa. Credo che scrivere consista in un continuo superarsi e mettersi in discussione: è anzitutto una palestra in cui faticosamente si esercita l’umiltà. Per questo ho molte remore a definirmi una scrittrice.
Cosa ti ispira a scrivere?
Difficile dirlo. Non credo ci sia una “fonte d’ispirazione” precisa. Penso che alcune immagini, alcune storie prendano forma nostro malgrado e non del tutto coscientemente: è quel “non esserci del tutto” di cui parla Cortázar: quando una parte di te chiacchiera con gli amici, lava i piatti, si siede a tavola e s’infila del cibo in bocca, e nel frattempo l’altra parte sta aggiungendo un filo colorato all’intreccio che va man mano annodandosi e prendendo forma nella tua mente. Se quest’impellenza di tirare fuori una storia, un racconto, non c’è, io non scrivo. Ho fatto molti esercizi di scrittura in passato. Una volta, come ghostwriter, ho persino scritto una raccolta di racconti dedicata alla storia della medicina in cambio di un “gettone” per pagarmi l’affitto. Non m’interessa scrivere se non ne ho l’urgenza, mi parrebbe d’ingannare il lettore.
Come è nato “Qui e altrove”?
Qui e altrove è una raccolta composta da una dozzina di racconti scritti tra il 2020 e il 2022 che sono stati scelti perché avevano come cifra comune il fantastico in senso todoroviano: cercano infatti di provocare un’esitazione nel lettore, un’oscillazione tra più spiegazioni possibili (con tre eccezioni, in cui il qui e l’altrove si danno più cha altro come punti di vista, come due possibilità dell’esistente tra le quali la prospettiva oscilla). Sono stati selezionati anche perché generati da un’urgenza comunicativa e dalla volontà di portare sulla pagina dei testi brevi che richiedessero al lettore implicito una lettura attiva e una sospensione del giudizio sui personaggi.
Quale racconto hai amato maggiormente scrivere?
Non so se posso dire che ho amato scriverli perché in più momenti è stato un processo doloroso ma credo di essere molto legata a Qui e altrove, il racconto in due parti di cui la raccolta porta il titolo, e a Tenero è il giorno. Qui e altrove, resoconto di una comunicazione mancata, è anzitutto un racconto politico credo infatti che il dissolvimento della coesione sociale parta proprio dalle disuguaglianze economiche (che si riflettono sulla possibilità di un’istruzione adeguata, di una famiglia più o meno presente, sulla capacità di concepire un futuro alternativo rispetto a quello a cui ci si sente predestinati) e si tratta di un tema che mi è particolarmente caro. A Tenero il giorno sono legata perché è nato già quasi interamente nella forma attuale e perché, senza che lo volessi, vi è confluito un mio certo modo di rispettare e percepire le ultime età della vita, la maniera in cui a volte lo sguardo delle persone in età molto avanzata si posa sulle cose, in cui esse osservano il modo filtrandolo attraverso una lente in cui un esteso passato e il presente si fondono.
Come hai scelto i temi dei racconti?
Più che di una scelta consapevole, penso si tratti del fatto che alcune esperienze, alcune immagini, alcune percezioni del reale “s’impigliano” nella memoria e costituiscono, se ben innaffiati e se coltivati con cura, il seme che può dar vita alla piantina di una storia. Per quanto riguarda il genere in cui ho deciso di muovermi e il lettore implicito che avevo in mente, ho scelto di muovermi nei territori del fantastico (che non ha niente a che vedere col fantasy e che necessita un buon grado di mimesi per esprimersi al meglio) perché è un genere che ho sempre amato.
Quali sfide hai dovuto affrontare nello scrivere?
Credo che un po’ per tutti coloro che scrivono, a meno di non avere la fortuna di pubblicare con una grossa casa editrice e vendere milioni di copie in tutto il mondo o a meno di non disporre di un patrimonio familiare, la sfida sia quella di riuscire a ritagliarsi del tempo per scrivere, prendere appunti e revisionare le bozze in una routine complicata da impegni familiari e di lavoro, sapendo che quello che fai non avrà alcuna utilità pratica e che la maggior parte di ciò che hai buttato giù dovrai probabilmente gettarlo via, se non lo trovi soddisfacente. Credo che questo, sempre, ma ancor di più oggi, in un’epoca corrosa dall’aziendalismo e dal colpevolismo se non produci massimi risultati nel minimo tempo possibile per poi metterli subito in bella mostra attraverso i social (quasi che, nel momento in cui non appari, cessassi di esistere), costituisca un’enorme sfida per chi scrive.
Cosa trovi più gratificante nello scrivere?
Scrivere può essere molto frustrante ma è anche un bellissimo gioco e, come in ogni gioco, la parte più divertente non è tanto il risultato quanto il processo in sé: per esempio impararne le regole fino a interiorizzarle o per violarle spudoratamente o il modo in cui memoria e immaginazione si mettono in moto. Altrettanto gratificante e sorprendente è essere letti e venire a conoscenza della narrazione che, inconsapevolmente, ogni lettore ha scritto nel momento in cui leggeva la tua: sono molto grata ai lettori che mi hanno detto o scritto come avevano interpretato una determinata narrazione.
Qual è il tuo processo di scrittura?
In genere parte da un’idea, un’immagine, lo scheletro di una trama a cui si aggrega, in maniera molto naturale, un certo stile, una focalizzazione e un’intuizione sul come questi elementi potrebbero funzionare bene assieme. Come accennavo prima, non è un processo del tutto razionale e molto spesso questo lavorio va avanti nella mia mente in un’instancabile selezione di ipotesi e di scarto delle stesse nei più svariati momenti della giornata e mentre faccio altro. Quando ho un insieme abbastanza coerente, lo butto giù e poi lavoro soprattutto di sottrazione. In genere una parte delle modifiche e delle revisioni le opero “a caldo”, nelle ore e nei giorni successivi, e altre dopo un po’ di tempo.
Quali sono i tuoi autori e/o libri preferiti?
Ci sono più costellazioni di libri importanti per me: quando ero bambina e preadolescente amavo moltissimo leggere Michael Ende ed Edgar Allan Poe (ma mi gettavo un po’ su tutto quello che trovavo a casa, in maniera disordinata). Da adolescente ero innamorata delle poesie di Sylvia Plath. Ricordo perfettamente la sensazione di stupore che provai quando, per la prima volta, intorno ai vent’anni, lessi i racconti di Cortázar e di Borges (è stato il mio primo contatto col neofantastico argentino), innamorandomene perdutamente. Di quel periodo fu anche la prima lettura di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, prestatomi da una coinquilina, che divorai in tre giorni e che senza dubbio ha tuttora un posto tra i libri che mi fanno battere forte il cuore. Sono e sarò sempre innamorata dei romanzi di Melville, Stevenson, Conrad e London (Martin Eden è un libro che annovero tra i miei preferiti), tra i classici italiani nel mio cuore mantengono un posto speciale Calvino, Buzzati ed Eco, insieme a molti altri. Per ragioni di studio e di passione continuo a frequentare molto le letterature ispano-americane (negli ultimi anni, una delle grandi cotte letterarie in questo ambito sono stati Amparo Dávila e Francisco Tario) e sono innamorata della letteratura della mia terra: uno dei miei libri preferiti è Il giorno del giudizio di Salvatore Satta e sono molto legata all’opera di Giuseppe Dessì, Atzeni, Deledda.
Progetti futuri?
Mi piacerebbe scrivere un romanzo “di genere”, penso che mi divertirei parecchio.
Un tuo sogno letterario?
Volo piuttosto basso: mi piacerebbe raggiungere una stabilità economica, familiare e lavorativa e avere dunque più tempo, serenità ed energie da dedicare alla scrittura.