
Chiara Cionco è nata a Orbetello.
Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito anche la laurea magistrale in Italianistica.
Insegna nei licei.
Ha sempre adorato scrivere storie su incubi e mondi distopici, per passare all’umorismo e sperimentare romanzi drammatici.
Nel 2020 ha pubblicato “Dalle ferite, cicatrici“, romanzo di formazione che parla di dipendenza e riconquista.
Nel 2024 esce il suo secondo romanzo “Il dilemma Maria Giulia” edito Montag edizioni.
Come è nata la sua passione per la scrittura?
Ciao a tutti! Allora, in realtà non ricordo il momento preciso, la custodisco fin da quando ho memoria. Sono però sicura che la passione per la scrittura è sempre andata di pari passo con l’amore per la lettura. Da piccola, se avevo un libro fra le mani potevo trascorrere ore e ore in silenzio a riempirmi gli occhi di storie. Poi, provavo a replicare i racconti di mio pugno, solo che avevo un piccolo problema di prospettiva: scrivevo le frasi formando delle chiocciole di parole e alla fine non ci si capiva nulla!
Quali sono state le sfide più grandi che ha dovuto affrontare come scrittrice?
Sicuramente, l’imbarazzo dell’espormi in pubblico. Questo perché ho un pessimo rapporto con me stessa, vanto l’autostima di una pigna. Quindi, quando è stato il momento di trasportare le mie storie dall’intimità del computer alla carta stampata, mi sono fatta mille domande.
Nessuno avrebbe letto i miei libri, perché avrebbe dovuto? Non sono niente di speciale. E addirittura devo farli pagare alla gente? No, no, impossibile.
Ci sto ancora lavorando su, diciamo che non sono molto portata per farmi pubblicità!
Quali sono i suoi scrittori preferiti e come hanno influenzato il suo lavoro?
Allora, ne ho diversi, effettivamente. Il mio grande amore è sempre stato Stephen King, fin da piccola. Ma, crescendo, ho un po’ ampliato i miei orizzonti. Adesso tra i miei preferiti ci sono autori come John Niven o Nick Hornby per quanto riguarda la letteratura umoristica, Clive Barker è per me il Signore dell’horror, mentre apprezzo molto Emma Cline, Jeffrey Eugenides e Ottessa Moshfegh per la prosa narrativa. Carmen Maria Machado e Mariana Enriquez sono bravissime autrici latinoamericane, una letteratura a cui mi sto approcciando insieme a quella nipponica. Il mio autore italiano del cuore è invece Niccolò Ammaniti. Potrei continuare per ore, ma tiro il freno a mano! Sicuramente, questi scrittori mi hanno aiutato a costruire poco a poco un mio stile personale che sento ancora in evoluzione. Soprattutto Cline e Eugenides hanno plasmato in me una passione per le descrizioni, mentre Niven e Hornby mi hanno aiutato a cogliere un lato positivo anche nelle situazioni più insostenibili e tristi.
Qual è il suo processo creativo? Come sviluppa le sue idee e le trasforma in storie?
Non so come funzioni per gli altri autori, ma io procedo così: accendo il computer, apro Word e mi metto a scrivere. Non ha senso, lo so che si dovrebbe tenere traccia dei propri progressi, appuntarsi scalette o schemi da seguire, eppure non mi è mai riuscito. Ogni volta che ho provato ad attenermi a una bozza, è andata a finire che ho sovvertito tutto ciò che mi ero programmata. Semplicemente scrivo partendo da una parola, un’immagine o una canzone. Poi assecondo il mio cervello e come decide di lavorarci, seguendo l’istinto. Alla fine rileggo tutto, correggendo le eventuali discrepanze narrative (sono frequenti, perché l’idea cambia in corso d’opera) e migliorando un po’ la prosa.
Cosa l’ha ispirata nello scrivere “Il dilemma Maria Giulia”?
In generale, mi hanno sempre affascinato la psicologia e il funzionamento della mente umana. In più, trovo la socializzazione qualcosa di estremamente complesso. Ho conosciuto diverse persone parecchio lunatiche, dall’umore mutevole, che mi hanno fatto pensare: diamine, quanto sarebbe bello avere un libro di regole per capire gli esseri umani! Così, ho voluto provare a scrivere una storia che avesse una “motivazione” per questa volubilità. Il resto, è venuto fuori da sé.
Quali sono i temi principali che esplora nel suo romanzo?
Di sicuro, la difficoltà nell’accettarsi e nel mettersi in gioco. Giorgio è insicuro, timido e ingenuo. Non ha un’alta considerazione di sé, per questo trova assurdo che una ragazza come Maria Giulia possa interessarsi a lui. Affronta il dramma dell’incomprensione, tempestandosi di domande: ho sbagliato qualcosa? Ho offeso qualcuno? È giusto comportarsi così?
In più, ho riflettuto sulla difficoltà che possono incontrare persone della mia età, fra i venti e i trenta, nel panorama lavorativo italiano. Senza edulcorare la pillola: la maggior parte di noi accetta lavori sottopagati e umilianti, perché è l’unica scelta che ha. Questo o fuggire all’estero, magari per vedere infranti i propri sogni di autonomia.
Quali sente siano le maggiori differenze rispetto alla sua prima pubblicazione “Dalle ferite cicatrici”?
Di sicuro, si tratta di libri molto diversi, ma con alcuni punti in comune. Dalle ferite, cicatrici è una specie di diario di una ragazza confusa che cerca di riportare la propria vita sui binari, mentre Il dilemma Maria Giulia racconta la storia di un giovane uomo impreparato alla vita che si confronta con il suo primo vero amore, misurandosi con le ambiguità della sua partner e le proprie insicurezze personali.
Due trame fondamentalmente diverse. Tuttavia, sia Ronnie che Giorgio sono sensibili e sfiduciati a causa del loro passato, cosa che li porta ad affrontare la vita di tutti i giorni sentendosi indietro rispetto a tutti gli altri. I due protagonisti hanno elaborato il loro vissuto in modo diverso, sviluppando atteggiamenti e meccanismi di coping differenti che li inducono a chiudersi in se stessi. Solo grazie agli altri e a una profonda riflessione, troveranno il modo di sbloccarsi.
Che tipo di atmosfera voleva creare con la sua scrittura?
Mi sarebbe piaciuto avvolgere il lettore in un racconto che potesse suonargli familiare per ambientazioni e dinamiche. Man mano che la lettura procede, però, viene fuori il mistero di Maria Giulia. Che accidenti ha ‘sta tipa che non va? Dalla narrativa contemporanea ho tentato di far virare il libro verso un leggerissimissimo giallo, quando Giorgio inizia a domandarsi perché la ragazza è così lunatica, se dipende da lui o meno e se può fare qualcosa per aiutarla, fino alla risoluzione finale.
Come si è documentata per scrivere la storia? Ha preso spunto da esperienze personali o da altre opere?
Personalmente no, niente esperienze personali. Spero che una cosa simile non sia mai capitata a nessuno! Anche se, purtroppo, so bene che certe persone possono dare un’idea di loro stesse e rivelarsi diametralmente differenti, con il tempo che passa. Non aggiungo altro perché non vorrei fare spoiler, ma sì, mi sono dovuta documentare. Ci tenevo che, almeno teoricamente, gli espedienti narrativi che ho adoperato dessero un risultato verosimile.
Progetti per il futuro?
Anche troppi! Ho una marea di idee e tantissimi libri e racconti già terminati sul computer (e disco esterno, sia mai che perda tutto). Devo solo trovare il coraggio di spedirli alle case editrici!
Scherzi a parte, attualmente sto lavorando su un primo romanzo di una saga distopica ambientata in un futuro non troppo lontano, in cui il tasso di natalità è calato così tanto che la popolazione mondiale occidentale è composta praticamente solo da adulti. Mi sono chiesta, in un contesto simile, che fine potrebbero fare i bambini. Poi, ho unito un po’ di incubi al tutto. Vi terrò aggiornati sui possibili sviluppi!
Grazie mille per l’intervista, mi ha fatto molto piacere scambiare due parole. E grazie anche per il lavoro incredibile che svolgi quotidianamente per il blog! Adoro leggere le tue recensioni.