
Classe 1984, Manuela De Quarto considera il suo padre spirituale Giovanni Verga e come lui è nata e cresciuta in una Catania tinta di nero come la pietra lavica e di blu come il mar Jonio. Organizza corsi di narrazione, cinema e psico-narrazione nella sua città. Da ottobre 2021 è il direttore didattico e docente di teoria e tecnica della narrazione della prima Scuola di Scrittura e Storytelling di Catania, made in Viagrande Studios.
Puoi raccontarci di te e del tuo percorso come scrittrice?
La mia avventura nel mondo della scrittura inizia in tenera età, quando le storie che mi narravano o che vedevo in televisione diventavano germogli durante la notte e poi disegni e fumetti di bambina l’indomani. La passione per la lettura è iniziata subito: avevo circa sette anni e mi capitò fra le mani un libro di mia sorella, più grande di me. Il libro era Ragazzo Negro di Richard Wright. Un romanzo non adatto alla mia età, nonostante ciò, lo lessi tre volte, una dopo l’altra. Capii attraverso le parole di Wright che si può scrivere di tutto, anche se la storia è difficile, orribile. Anzi, più la storia è cruda e sofferta più serve abilità per farla diventare un romanzo fruibile che universalizzi quel dolore. Per anni quello fu il mio libro preferito. Poi ci fu La macchina del tempo di Wells e Il principe e il povero di Mark Twain. Ricordo che a dieci anni accendevo la televisione, verso le dieci di sera, per vedere su Raitre Pickwick del Leggere e dello scrivere, mia sorella mi urlava che era tardi e dovevamo dormire, io abbassavo il volume e continuavo a guardare. La scrittura si è evoluta in me nell’arco degli anni, di pari passo con la lettura. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, con indirizzo in Editing, ho deciso di trasformare la mia passione in professione. Certo non è stato facile e tra una tappa e l’altra ho fatto qualsiasi lavoro possibile, dovevo pur mantenermi! Nel 2010 ho provato ad accedere alla Scuola Holden di Torino, all’epoca era ancora a numero chiuso e ne prendevano solo trenta. Passai le selezioni e iniziai quest’esperienza incredibile nell’ottobre dello stesso anno. La Scuola Holden mi ha fornito tanti di quegli stimoli, intuizioni e incoraggiamenti che considero quelli gli anni della “vera me”. Leggevo, scrivevo, ascoltavo autori – anche importantissimi e internazionali – parlare e parlarmi ogni giorno. Un’esperienza unica che ha fatto diventare la scrittura il fulcro attorno al quale gravita tutt’oggi la mia esistenza.
Credo di essere diventata una scrittrice per esplorare la materia umana, qualunque essa sia, senza dover necessariamente cambiar vita e luoghi, li vivo e li cambio ugualmente attraverso i miei personaggi. Raccontare storie che parlano di cose semplici e che, però, racchiudono l’intera essenza dell’esistenza: ecco quello che cerco di fare nei miei scritti.
Solo che scrivere per me è doloroso e accettarmi come autrice lo è stato ancora di più. Dopo la Holden ho pubblicato per diverse riviste e magazine letterari, ma non è la stessa cosa che procedere alla stesura di un romanzo. E, se dobbiamo prendere il mio caso specifico, per scrivere Come treni alla stazione ci ho messo cinque anni e per inviarlo alle C/E altri cinque, sì lo so è da folli! Ogni tanto penso che non avrei potuto editare nulla se prima non avessi trovato il coraggio di guardarmi in faccia e dire: “Sì, forse non è quello che volevano gli altri, ma tu sei una scrittrice.” È stato come ribattezzarmi al mondo, non sapevo se poi alla fine avrebbe risposto qualcuno, ma sapevo di non avere più paura di espormi. E poi ha risposto alla mia e-mail Land Editore, con Elisa Serra caporedattore. Una perfetta estranea che fa questo di lavoro mi diceva: “Tu sei un’autrice, hai una voce e la tua storia è incredibile.”
Ammetto che è stata la dose giusta di adrenalina, in un momento storico personale – ero incinta – che mi ha permesso di credere ancora in me, di darmi una possibilità. Da lì, era il 2021 non mi sono più fermata!
Cosa ti ispira a scrivere?
L’ispirazione nasce dal quotidiano: a volte dall’osservazione delle persone, ascolto le loro storie, qualche frase di sfuggita, anche un gesto che fanno e immagino mondi dove le emozioni si intrecciano in narrazioni più o meno complesse. Mi stimolano molto la natura, i social, l’arte, la musica e i viaggi, essi nutrono la mia creatività. Il mio docente di racconto e romanzo diceva sempre “lo scrittore è un ladro!” Ed io la penso come lui, bisogna attingere a ciò che ci accade e che accade agli altri. Certo mi sento più predisposta a scrivere quando certe ferite si aprono/riaprono o sanguinano più del dovuto, ma credo che sia una caratteristica dell’arte. Si crea attraverso il dolore sempre, dopotutto.
Qual è il tuo processo di scrittura e come ti organizzi per scrivere?
Vorrei essere come Stephen King e dirti che mi alzo ogni mattina alla cinque faccio colazione e scrivo fino all’una. Ahimè credo di essere più simile ad un bradipo dedito alla letteratura. Scrivo di notte e poco alla volta; a volte resto sullo stesso capitolo anche per settimane. Poi se il progetto è molto articolato, prima di iniziare svolgo un’intensa fase di ricerca. Sono molto didattica anche nella mia scrittura, prima penso alla trama e ai personaggi e dopo stendo la storia seguendo l’ordine che mi sono fatta in testa e per iscritto, salvo poi ribaltare e rimodificare tutto perché mi è venuta qualche altra idea. Questo, però, credo capiti a tutti. Diciamo che non prenderei esempio da me per scrivere, sono troppo lunga e ci metto tanto a rileggermi e rieditarmi, prima di darlo – com’è giusto che sia – a qualcun altro; perché dopo un po’ l’autore con il suo testo non può fare più nulla. Se ti dovessi dire da dove parte tutto, ti direi che di solito parte dalla “visione” della scena finale: ecco la vedo e subito a ritroso costruisco la storia. Appunto ogni cosa sulle pagine di un taccuino e, questa sì, è una cosa che consiglierei a chiunque.
Come nasce “Come treni alla stazione”?
Come treni alla stazione è nato durante il biennio della Scuola Holden, all’epoca per passare dal primo al secondo anno dovevi sviluppare una storia: scrivere le prime “40 cartelle editoriali”. Era uno scoglio difficile ed entrai ad ottobre senza avere la minima idea di quello che avrei scritto a giugno. Poi durante le lezioni di racconto e romanzo con Domenico Starnone nacque questa storia di questa bambina, Titì, che assomigliava molto a mia nonna, ma viveva in un paese simile a quello originario di mio nonno. Devi sapere che i miei nonni erano divorziati ed io li ho sempre vissuti separatamente ma serenamente; prima della Holden morirono uno dopo l’altro 2005 e 2008. Però, mi diedero dei buoni consigli, com’era loro usanza dovevano avere l’ultima parola. Mia nonna mi disse che dovevo scrivere un libro su una tipa come lei; mio nonno mi disse che dovevo andare a Valguarnera a vivere i giorni di festa per San Giuseppe. Ecco ho fatto entrambe le cose e lì a Valguarnera – proprio lo stesso anno in cui è morto mio nonno – vidi una ragazzina che interpretava Maria e assomigliava all’immagine che avevo di mia nonna bambina. Poi qualche anno dopo proprio alla Scuola Holden tutto ha preso forma; vedi nulla avviene per caso. La prima cosa che scrissi fu di una passeggiata all’ora di pranzo per il paese, Titì mano nella mano con suo padre entrambi in silenzio. Sai credo davvero che ogni persona che incontriamo determina qualcosa nella nostra vita, siamo tutti treni che corrono su binari labili. Immagina se non avessi visto quella bambina quel giorno a Valguarnera, oppure se non fossi proprio andata lì e se mio nonno non mi avesse detto nulla…Potremmo continuare così all’infinito!
Come hai scelto le tematiche presenti nel libro?
Il mio scopo quando scrivo è di parlare della materia umana, esplorando le sfumature emotive ed esistenziali che ci caratterizzano di fronte a questa piuttosto che a quella sfida. Non so se ci riesco sempre e se ci sono riuscita con questo romanzo. Sono convinta che i conflitti siano la musica di una storia, come dice Alessandro Baricco. I conflitti sono anche il tessuto con cui si imbastisce tutta la vicenda. Riuscirà il nostro eroe a superare i conflitti interni ed esterni e così raggiungere il suo desiderio massimo? Questa è la base, mi faccio sempre questa domanda quando scrivo. Le tematiche non sono state scelte, in questo caso, direi che mi hanno scelto. Alcune dinamiche sono molto familiari per me. Come Titì vede il mondo e come viene vista dal mondo, sono cose che hanno toccato, o toccano, anche me. La questione del “valore” misurato con l’apparenza è una cosa che viviamo tutti e che ha riguardato me, ma anche la vita di mia nonna. I rapporti con i genitori, la fuga foss’anche solo per qualche ora riscoprendo se stesso: quale ex-adolescente può dire di non aver provato una cosa simile. Il diventare adulto con tutto quello che comporta. Per quanto riguarda la tematica che tiene in piedi tutte le altre vicende e che è poi il tema principale, cioè la mafia e la ricerca della verità, quella davvero è una cosa che mi ha colto mentre scrivevo. Non conoscevo ancora bene la storia di Joseph, era offuscata nella mia testa. Perché quest’uomo aveva a che fare con Titì? Pian piano l’ho scoperto, esattamente come voi. Non mi succede sempre così.
Quale capitolo hai amato maggiormente scrivere e quale è stato più ostico?
Il capitolo che ho amato di più è il IX, La Signora Tamara. Questo personaggio, questa donna nasce da un film di Eugene Green visto durante il Torino Film Festival del 2010. Non c’entra nulla con la donna di Green in La religiosa portughesa, eppure c’entra. L’aspetto, il luogo da dove viene, le fragilità. Mentre lo scrivevo ero appassionata da questa figura e si sviluppava senza che io potessi frenarla davanti ai miei occhi. Un po’ alla Dickens come immagine, ma davvero è andata così.
Quello più difficile rimane il XII, Toby per vari motivi, come dovevo scriverlo, come dovevo far accadere le cose. Come ribaltare il personaggio di Joseph perché nessuno è completamente bianco o nero. Bisogna rendere i personaggi grigi; cattivi ma buoni, buoni ma cattivi. Come di fatto noi esseri umani siamo nella realtà.
Sei la fondatrice e direttrice della prima Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling della Sicilia, puoi parlarci di questa realtà?
Insieme a Viagrande Studios, e il suo direttore generale Claudia Migliori, ho fondato nel 2021 la prima Scuola Biennale di Scrittura e Storytelling della Sicilia. Nasce tutto grazie ad un sogno, letteralmente parlando. Un sogno super realistico, in cui mia nonna mi portava a Viagrande Studios (il più grande centro performativo del sud Italia dal 2013) e mi diceva che era arrivato il momento: dovevo aprire una scuola di scrittura. Ovviamente era una cosa a cui pensavo da anni, da quando avevo conosciuto questa realtà ai piedi dell’Etna. Poi nella vita vera ho trovato una persona, Claudia, che ha creduto in quel sogno e l’ha fatto diventare anche suo. L’idea è stata creare uno spazio dove poter esplorare e coltivare il talento per le scritture (lo dico al plurale con cognizione, perché i percorsi sono tanti e abbracciano diversi aspetti dello storytelling), offrendo strumenti, metodi, professionisti e ispirazione senza dover necessariamente abbandonare l’isola o indebitarsi per il resto della propria vita. Oggi posso dire che è stato l’investimento di tempo, sacrificio e denaro più intelligente e importante della mia vita. La scuola ha aperto i battenti, subito dopo la crisi pandemica, nell’ottobre 2021. E grazie all’impegno di Viagrande Studios è partita con soli cinque studenti. È stato in quel momento che ho capito che davvero qualcuno, oltre me, credeva in quel progetto folle che non era più mio, ma nostro. E che forse tanto folle non era! Oggi le nostre aule accolgono circa una decina di studenti l’anno, e anche di più. La qualità dei percorsi è incredibile e in soli due anni didattici abbiamo ottenuto l’accreditamento Miur, secondo la direttiva 170/2016. Io sono la direttrice dell’intera Area Scrittura, della Scuola Biennale e detengo anche la cattedra di teoria e tecnica della narrazione. Al mio fianco ci sono docenti incredibili, che hanno creduto anche loro in un progetto che partiva da zero, ma che da sempre aspira al massimo. Formare queste nuove voci del mio territorio, e non solo, condividendo la mia passione e il mio sapere con loro è quello che mi fa stare bene. Ho lavorato così tanto per arrivare a questo punto e non mi fermo di certo qui!
Autori e/o generi preferiti?
La libreria di casa mia include un ampio spettro di generi, anche se amo la narrativa e i delicati romanzi di formazione, com’è intuibile. Amo molto anche i romanzi storici e la narrativa contemporanea americana e giapponese. Tra i generi il distopico, l’horror e il fantasy sono la mia tipica scorpacciata quando ho molto tempo per leggere, con una bimba è complicato. Tra gli autori che ammiro ci sono sicuramente le firme classiche come Hemingway, Virginia Woolf, Nabokov. Mi piacciono moltissimo Carver, Roth, Alice Munro, Michael Cunningham, Elizabeth Strout, Agota Kristof, Coetzee, Franzen, Foer, te ne nomino alcuni. Come autori italiani non posso non nominarti Calvino, Morante, Stefania Auci, Michela Murgia, Nadia Terranova, Piperno, Baricco, Durastanti, Lo Iacono. E poi le incredibili novità di questi ultimi anni come Rosella Postorino, Olga Campofreda, Giusy Sciacca, potrei continuare all’infinito. Rispondo per ultimo ad una domanda che non mi hai fatto, il libro più bello del 2023: La cronologia dell’acqua di Lidia Yuknavitch, lo consiglio a lettori e scrittori. Illuminante.
Progetti futuri?
A breve uscirà per la Land Editore un mio racconto lungo Sulle note della fine del mondo; occhio, però, non fatevi ingannare dal titolo non è un semplice distopico. Lo presenterò al Salone del libro 2024 e sarà proposto all’interno di una trilogia: tre autrici della Land Editore e tre racconti lunghi completamente diversi. Del secondo racconto Piovimi Addosso di Miriana Vitulli ho curato l’editing; mentre il terzo si chiama La bambolina nel bosco, di Elisabetta Venturi. Vado avanti con la stesura del mio secondo romanzo e confermo quello che dicono tutti: è più difficile scrivere il secondo rispetto al primo. Sto lavorando a due progetti teatrali che spero vedranno la luce in questo anno. Continuo a fare l’editor, la docente, e la coordinatrice della mia fantastica realtà lavorativa.
Qual è il tuo sogno letterario?
Potrei dirti che intanto scrivere e pubblicare il mio secondo romanzo prima dei prossimi dieci anni, potrebbe essere un ottimo obiettivo da prefiggersi. Scherzi a parte, avere la certezza di abitare il luogo giusto è quello che forse cerchiamo tutti, e se questo luogo nei prossimi anni continua ad essere la scrittura, i libri e l’insegnamento allora sarò una persona felice.
Credo di dover fare, dire e dare ancora tanto, spero di avere il tempo per farlo e con accanto le persone giuste. Magari un giorno i miei libri aiuteranno qualcuno, le mie parole serviranno a qualcuno e io avrò la fortuna di venirlo a sapere; ecco questo sarebbe un incredibile momento.
