Gualtiero Ferrari: “La scrittura è una valvola di sfogo” Intervista

Ben tornati a tutti lettori, oggi sono qui per un’altra bellissima intervista, questa volta all’autore Gualtiero Ferrari, di cui ho avuto il piacere di poter leggere e recensire Satan’s Grill edito Be Strong edizioni.

Gualtiero Ferrari nasce nel 1970 a Torino.
Accanito lettore fin da giovane, si rifugia nella scrittura ormai adulto durante un difficile periodo personale.
Oggi abita sulle colline alle porte del capoluogo Piemontese, è felicemente sposato nonché padre di un figlio appena maggiorenne, e lavora presso un’azienda di meccanica di precisione.

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Quando hai capito che volevi diventare uno scrittore?


Piuttosto tardi, verso i 45 anni, durante un periodo familiare e professionale piuttosto difficile.
In realtà anche prima scrivevo, però non narrativa.
Sono un giocatore di Dungeons&Dragons di vecchia data, ho iniziato nel 1987, negli Stati Uniti. Da allora ho scritto molte avventure per gli eroi del lunedì sera. In fondo non è troppo diverso dalla scrittura di un romanzo: immagini una storia e la racconti, scrivendo o giocando. Dal punto di vista creativo non c’è molta differenza.

Cosa ti ispira a scrivere?


Tutto ciò che mi solletica la fantasia. Una sensazione, un profumo, una persona, lo scorcio di una via seminascosta. Anche la musica. Spesso una canzone mi accende l’immaginazione e mi basta seguire la melodia delle note per scriverci qualcosa attorno.
Qualsiasi cosa, per quanto possa apparire insignificante, è degna di essere raccontata, purché la narrazione sia rispettosa e interessante.
A ben guardare tutto è ispirazione se impari a cercare nel quotidiano.

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Qual è il tuo processo di scrittura e come ti organizzi per scrivere?


La scrittura è una valvola di sfogo: tanto sono pignolo e a tratti maniacali nella vita di ogni giorno, quanto sono disorganizzato nella fase di scrittura.
Di solito parto di getto, sull’onda di un’idea che di solito arriva nei momenti più impensati, scrivendo una sola frase, o poche righe nelle quali riassumo i contorni della storia che andrò a raccontare.
Lascio sedimentare per qualche giorno, nei quali costruisco mentalmente la struttura intorno all’idea di base e poi scrivo tutto quello che “vedo” nella mente.
Questa è prima stesura, quella fatta di cuore.
Poi inizia la revisione. Leggo e rileggo tutto più volte, tagliando (molto), aggiungendo (solo quel che serve) e continuo con questo processo sino alla versione quasi-finale.
A questo punto faccio leggere il lavoro a un paio di persone di fiducia e sulla scorta dei loro commenti passo alle rifiniture finali.

Come è nato “Satan’s grill”?


Nasce da un’insegna letta male. Ero in macchina, con mio figlio, non ricordo dove eravamo diretti, ma ad un certo punto lungo la strada con la coda dell’occhio vedo un’insegna rossa di un ristorante specializzato in carne alla griglia. Non ricordo il nome vero, ricordo solo che mi è rimasta incollata in testa l’insegna scarlatta e la scritta che assomigliava a Satan’s Grill, così ho iniziato a immaginare come avrebbe potuto essere un locale con un nome del genere, e ho proseguito immaginando la storia che vi si poteva celare dietro. Il resto lo potete leggere in Satan’s Grill.

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Quale dei tuoi romanzi ritieni sia il più riuscito?


A parte Satan’s Grill, che di fatto è un racconto, al momento credo che il mio miglior romanzo sia Zetafobia 2 – La città morta. È il secondo capitolo della trilogia di Zetafobia, l’ultimo capitolo è in fase di scrittura.
Credo che questo sia il mio miglior romanzo, quello in cui sono riuscito maggiormente a trasmettere ai lettori le sensazioni che desideravo provassero.
Va da sé che farò del mio meglio per rendere il terzo romanzo il migliore scritto sino ad oggi.
Quale scena hai amato maggiormente scrivere?
Beh, in questo caso torno a Satan’s Grill e alla salsa di Smokey Joe. È poco più di un cameo, eppure credo che quella piccola digressione si sposasse molto bene col testo.

Quale invece ha richiesto più energie?


Sempre in Satan’s Grill la scena della morte di Alberto. Davvero difficile da scrivere senza lasciarsi trascinare troppo vicino all’orrore. Anche se all’apparenza si tratta di una scena secondaria, dietro al personaggio di Alberto, di cui non voglio fare spoiler sull’origine del nome, anche se nel testo si può facilmente intuire, c’è più di quel che sembra, e se mai dovessi tornare riempire gli spazi vuoti lasciati al Satan’s Grill, di certo Alberto sarebbe una figura centrale di un eventuale prequel.

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Autori e/o generi preferiti?


Generi molti. Dal Thriller all’horror, dalla fantascienza al distopico, ma non solo questi. Un buon libro, scritto bene e con una trama seria è sempre un piacere da leggere, indipendentemente dal genere di appartenenza.
Autori, anche in questo caso molti, se non moltissimi. Adoro Lovecraft, un must per tutti, Dean Koontz e Clive Barker, ma anche Matheson, che ha scritto “Io sono leggenda”, forse il miglior horror-fanta-distopico di tutti i tempi. Credo che la lista potrebbe continuare all’infinito. Non cito Stephen King, il Re indiscusso dell’horror moderno, perché ammetto di non aver mai letto nulla di suo a parte l’immenso “on writing”, che però è quasi un testo per addetti ai lavori.
Mi sono sempre ripromesso di colmare questa lacuna, ma i libri da leggere sono tanti, il tempo è poco e la pila sul comodino continua a crescere.

Progetti futuri?


Molti. Sarò presente al Salone internazionale del libro di Torino con tre racconti su tre antologie diverse. Uno un racconto di fantascienza pura edito dalla LAND EDITORE, mentre altri due saranno horror. Il primo ha vinto la 71esima edizione del NeroPremio, mentre il secondo è una sorpresa di cui non posso ancora parlare.
Oltre a questo sto lavorando a un romanzo distopico in stile George Orwell, ma è ancora molto lontano dal vedere la luce.

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Qual è il tuo sogno letterario?


Il ruolo mi imporrebbe di rispondere che mi piacerebbe vincere un prestigioso premio letterario, ma onestamente non è così. Certo, se dovesse mai capitare non mi dispiacerebbe, però io scrivo perché mi piace e perché mi diverto a farlo. Adoro l’interazione con la gente, quando passano a trovarmi in qualche stand di qualche mostra del libro, o a un firmacopie. Ecco, forse se proprio dovessi scegliere qualcosa mi piacerebbe poter parlare a una classe e spiegare loro la bellezza del leggere e dello scrivere.
In fondo tutti amiamo raccontare e raccontarci, io lo faccio nei miei libri, e va bene così.

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