Ben tornati a tutti lettori, oggi sono qui per proporvi l’intervista all’autrice Francesca Pasqualone, di cui ho letto e recensito “L’eredità dei Taylor” edito Scatole Parlanti.
Recensione completa del romanzo ->

Francesca Pasqualone è nata nel 1994 a Roma. Si è laureata in Sociologia presso l’Università “La Sapienza” specializzandosi su tematiche riguardanti il mercato del lavoro, le discriminazioni di genere, le migrazioni e l’intersezionalità. L’eredità dei Taylor è il suo romanzo d’esordio.
Come descriveresti te stessa come scrittrice?
Il primo termiche mi sovviene – e ritengo che, nonostante la spontaneità dello stesso, sia abbastanza veritiero – è “in fieri”, o ancora meglio “in continuazione costruzione”. Dal momento che sono una scrittrice esordiente, forse questa definizione appare non solo fondata, ma anche ragionale, perché è sicuramente vero che devo ancora trovare una chiave stilistica, una firma, se vogliamo, chiara. Però ammetto che sono felice di sentirmi “in continua costruzione”, perché questo approccio mi permette di non smettere mai di osservare, di mettermi in discussione, di imparare e, soprattutto, di non dare mai nulla per scontato, che credo sia l’unico modo in cui, più in generale, riesco a stare al mondo. Vorrei utilizzare però anche un altro aggettivo, discostandomi leggermente da questo ragionamento e sperando di non risultare presuntuosa, che è “ecclettica”: attualmente, mi sto cimentando nella scrittura di romanzi appartenenti a generi differenti dal giallo e sento che è la strada migliore per me. In poche parole, non mi vedo come una giallista e basta – non che ci sia nulla di male, ovviamente, ma semplicemente questa scelta striderebbe con le mie aspettative e miei i desideri.
Cosa ti ispira a scrivere?
Diciamo che sono spinta da due tensioni complementari. La prima è la necessità, che avverto quasi come imperativa, di raccontare di temi che mi stanno a cuore e di farlo in chiave assolutamente critica, riflessiva e dialogante (per quanto moderati dallo strumento della letteratura fiction – non stiamo parlando di saggistica, né di qualsiasi testo didascalico). Le tematiche che presento, in modo più o meno diretto o indiretto, ci toccano nella quotidianità e forse alle volte ne siamo consapevoli fino a un certo punto; trattarle all’interno di un contesto meno rigido come quello della scrittura narrativa potrebbe essere un ulteriore canale per discuterne. L’altra tensione invece è più intimistica: ho usato il termine “dialogante” prima e questo sfiora un problema che fronteggio ogni giorno, perché io ho la bizzarra capacità (come altre persone) di poter parlare tantissimo, ma di non dire quasi nulla di me, e sicuramente nulla di intimo. Con la scrittura diventa più facile: attraverso i personaggi, ciò a cui si allude tra le righe, o i significati sottesi in determinate situazioni, posso esprimere turbamenti, desideri, paure come normalmente non riesco a fare. Sono relativamente certa di non essere l’unica al mondo a provare questo disagio e magari un linguaggio, per l’appunto, meno diretto, più morbido, in qualche modo potrebbe arrivare ad altri nella mia stessa posizione e farli sentire un po’ meno soli.
Come è nato “L’eredità dei Taylor”?
“L’eredità di Taylor” è nato in una circostanza che definirei “filmica”, alquanto spettacolarizzato e probabilmente un po’ ridicola, però è la pura verità. Uso un’espressione molto romantica: scrivere è il mio sogno del cassetto da quando ho 8 anni e ho iniziato a provare a farlo più seriamente quando ne avevo 15, ma non sono mai stata in grado di concludere nemmeno un racconto. Non per questo ho abbandonato l’idea, anche perché scrivere è davvero una delle cose che mi rende più felice, e quindi ho continuato a perdermi nelle mie fantasticherie, cercando di delineare trame sempre nuove. E poi una sera, nel novembre 2021, stavo, per l’appunto, immaginando una storia proprio in questo modo e ho avuto una sorta di epifania. È stato come se nella mia testa ci fosse stato un gomito, tutto aggrovigliato, che tentavo strenuamente di districare e, improvvisamente, ne avessi afferrato la cima. Ho cominciato a dipanarlo e così l’intreccio della vicenda si è delineato da sé e alla fine avevo l’80% de “L’eredità dei Taylor”. Successivamente c’è stato tutto il lavoro di ricerca, scrittura, editing e pubblicazione, ma è così che è nato.
Quale scena hai amato maggiormente scrivere e quale ha richiesto maggiori energie?
Grazie mille per questa domanda, perché mi piace moltissimo! Parto dalla fine: la scena che mi ha richiesto maggiori energie è stata quella del terzo colloquio tra Desmond e Guinevere (il secondo che hanno da soli). Lo è stata per un motivo forse banale, che però è risultato capitale, ovvero che la prima volta che avevo scritto questa scena non funzionava, non perché ci fosse un vero e proprio problema narrativo, ma perché ho fatto fare delle cose a Guinevere che non avrebbe mai fatto in quel modo. Questo mi ha “costretta” ad avere un colloquio con lei, ad interrogarla sul da farsi. Posta così, magari sembrerà un atteggiamento un po’ vaneggiante, ma discuto sempre con i miei personaggi per capire cosa vogliono, cosa no e per capire dove mi vogliono portare. Quindi le ho domandato dov’è che avessi sbagliato, cos’è che avrebbe fatto lei e cosa la rispecchiava veramente. E dopo aver fatto, chiarezza e raccolto le fila del ragionamento, allora ho potuto riscrivere la scena. Mentre quella che ho amato maggiormente scrivere credo che non sia una delle più scontate, però per me ha sempre un significato del tutto particolare: mi riferisco a quando Desmond ha un attacco di panico di fronte a Thomas. È una scena redatta in modo non tanto distante da un flusso di coscienza, dove è presenta un’acuta, quasi fastidiosa, giustapposizione di immagini mentali che assaliscono Desmond e che sono dettate tanto dalle sue capacità logiche in riferimento all’investigazione, ma anche da tutti i sentimenti, dalle sue emozioni, ancor prima, dalle sensazioni che vi sono correlate. Per me è una scena viscerale, che tra l’altro ho sempre accompagnato a una canzone la cui melodia mi ricorda quella del battito di un cuore irregolare, dove a volte accelera, altre riprende il suo corso più quieto. La sentivo proprio in linea con lo scombussolamento che provava Desmond e credo che sarebbe interessante anche per un lettore fare questo tentativo, accostare alla lettura di quel passaggio questa musica. Credo che ne indirizzi e ne amplifichi l’emozione. Ma magari questo è valso solo per me!
Quale messaggio hai voluto trasmettere con questo libro?
Francamente? Ce ne sono diversi. Diciamo che il principale, il più generale anzi, è il monito rispetto al non fraintendere le fragilità con i punti di forza. Tutti i personaggi mostrati, anche quelli meno caratterizzati, presentano luci e ombre, o meglio, come ho già dettò, debolezze e sicurezze. E il fatto è che anche lì dove non c’è un equilibrio tra di esse, o meglio esso è molto precario, questo diviene manifestazione dell’eterogeneità dei vissuti e delle personalità. E bisogna accettare il fatto che esiste e magari lavorare per gestirlo. Sicuramente ciò avviene a livello individuale, ma poi questo monito a delle ricadute sociali, nel momento in cui appunto non si fa presente di non scadere in false credenze, in pregiudizi e in ipocrisie nel giudicare una persona per il suo vissuto, le sue caratteristiche, il suo sentito e le sue aspirazioni. Le convenzioni non sono mai neutre, e il rischio di ferire gli altri e di non prendersene la responsabilità è sempre dietro l’angolo.ù
Come hai scelto le tematiche affrontate nel testo?
Sono tematiche che incontro nel mio lavoro: attualmente, sto svolgendo un dottorato in sociologia (nello specifico, sono sociologa del lavoro e dell’intersezionalità), quindi ci sono una serie di fenomeni inerenti alle discriminazioni, soprattutto delle persone marginalizzate che studio quotidianamente. Analizzo come agisce il sistema dei privilegi, anche affiancato a quello delle discriminazioni. C’è studiosa molto famosa, Nash, che parla proprio del bilanciamento tra fattori di privilegio e marginalizzazione all’interno del singolo individuo e questo è stato sicuramente un punto di partenza fondamentale il taglio critico dei temi che andavano ad affrontare. Poi, per questioni personali, volevo assolutamente rappresentare un protagonista bisessuale, parlare di salute mentale e di sessismo, ma poi non sono riuscita a esclude anche l’abilismo e il razzismo. Sono tutti temi molto caldi adesso ma che ancora non vengono trattati in modo efficace, decostruttivo e lungimirante. Ho toccato quegli argomenti che non possiamo illuderci di poter ignorare, proprio perché creano delle disuguaglianze inaccettabile. E mi sembra che spesso si generi tanta confusione, al riguardo e anche per questo dobbiamo continuare a discuterne, al fine di portare avanti dei cambiamenti che siano positivi e che puntino a una società veramente equa. Ovviamente ci sarebbero anche altri temi importanti di cui parlare, però, questi sono quelli nei quali, in qualche modo, mi sento più competente.
Cosa trovi più gratificante nello scrivere?
Allora cosa ho più gratificante nello scrivere? Penso che sia legato nuovamente al modo di esprimersi. Che, nel senso che ognuno di noi potrebbe tenere un diario OK, nel quale cercare di fare chiarezza. Tramite un processo di emersione, insomma. Delle proprie emozioni e questo può essere estremamente utile, però poi rimane un po tra noi e noi tra se. Invece la mia idea era proprio di. Puntare verso l’esterno? Quindi, nel momento in cui mi rendo conto che riesco. A raccontare. Un vissuto con tutta la sua. Multi generità. In maniera efficace, efficace intendo, mi sembra realistico, coerente con il personaggio con delineato le circostanze che ho presentato. Allora trovo una grande gratificazione. Vorrei fare una visitazione. Ovviamente i personaggi non sono persone. Devono essere sempre più sfaccettati, sempre più proliedrici ovviamente credibili. Non siamo più sull’idea degli degli idealtivi, degli archetipi, insomma, come l’eroe era un po dimensionale, l’antagonista è un po bidimensionale, non siamo più in quello stadio, diciamo della letteratura. Però ecco comunque un personaggio mantiene insomma una sua magia in senso lato. Nelle sfumature di quello che è possibile perché è immaginabile, OK, che si distacca quindi da una correntezza che a volte diventa crudele. Ecco però questo esercizio dell’immaginazione. Ha un grande riscontro. Voi su su di te riesci in qualche modo a. AA sentire e riavere possibilità e. Non dico che poi in automatico avvenga però. Credo che lavori molto su. Sulla tua fotostima anche e ripeto anche qui anche dalla parte del lettore anche io e la lettrice vedo che leggere di determinati personaggi disegnate circostanze e argomenti mi provo, mi dà questo effetto e quindi si dice molto spesso che la letteratura, in un modo o all’altro, sia un modo per educare. Senza alcuna presunzione. E poi, forse sbaglio, impartire così, ma credo che. Un forte fattore di questo processo di educazione sia proprio questo.
Qual è il tuo processo di scrittura?
Qui sarò più lineare nella risposta: quando mi un’idea per una nuova storia (quel 10% di ispirazione, come si dice), all’inizio la discuto tra me e me in maniera molto fluida, tramite un brainstorming, e registro vocalmente le mie considerazioni. Quando ho fissato i punti fondamentali, li trascrivo e comincio il lavoro di ricerca preliminare, in base alle esigenze. Una volta soddisfatta, quando sono certa che questo passaggio si sia concluso in modo esaustivo, preparo le schede del romanzo, quindi la sinossi strutturata (io seguo un po’ il metodo di Terry Brooks, in tal senso, quindi riporto i fatti principali capitolo per capitolo), il calendario, la mappa e le schede dei personaggi. Compio gli ultimi check, per assicurarmi che tutto funzioni, che sia coerente, che non siano rimasti nodi irrisolti e, se è così, passo alla fase di scrittura vera e propria. A questo punto, però, il lavoro che ho fatto prima diviene più un orientamento, perché poi mi lascio guidare da quanto emerge proprio nel processo di scrittura, in modo che tutta la strutturazione iniziale non divenga una gabbia.
Quali sono i tuoi autori e/o libri preferiti?
Ho due romanzi prefereti, tra i quali non posso proprio scegliere quale sia quello che mi piace di più, che sono: “Delitto e Castigo” di Fedor Dostoevskij ed “Espiazione” di Ian McEwan. Il fatto che condividano l’esatto, il medesimo tema centrale, che è il complesso della colpa e, in particolare, l’ambiguità di personaggi che commettono delle azioni riprovevoli, ma che in qualche modo conservano una parte di innocenza, credo che dica qualcosa su di me, che mi dà moltissimo da riflettere e rispetto a cui sto indagando! Per quanto riguarda il versante del giallo, sono appassionata di Christie da quando avevo 14 anni e da lei scaturisce l’ispirazione principale per i miei mistery, che sono poi fondamentalmente (anche se non esclusivamente), gialli deduttivi proprio sulla scia delle detective stories. Tra l’altro, il personaggio di Poirot ha condizionato la creazione di Desmond molto più di Sherlock Holmes, a dispetto di quanto si potrebbe credere! Da ultimo, mi sento anche di citare Isabel Allende, per la maniera magistrale, profondissima, in cui gestisce il dolore, la perdita, la memoria e il peso del ruolo che ognuno di noi può esercitare in una comunità.
Progetti futuri?
Sono in attesa di alcune valutazioni, quindi si vedrà. Ho pronto il secondo giallo, che vedrà una nuova avventura per Desmond (e non solo…) in quella che spero diverrà una serialità come avviene in generale per altri investigatori simili – di nuovo, Poirot e Miss Marple, Sherlock Holmes, ma anche il commissario Adamsberg e i Tre Evangelisti di Fred Vargas, Montalbano, Lolita Lobosco e Teresa Battaglia (per gli italiani). Questo secondo romanzo è già stato revisionato, giudicato da betareaders e, per l’appunto, sto aspettando un riscontro da alcune case editrici. Mi auguro che vedrà la luce il prima possibile, ma non so quando sarà questo “prima possibile”. Dopodiché, ci sono un altro paio di libri che ho inviato e che non sono gialli, ma rientrano nel genere del fantastico.
Un tuo sogno letterario?
In realtà, il mio sogno letterario (quello di adesso, perlomeno) l’ho già scritto ed è proprio uno di quelli in valutazione. Non vorrei fare spoiler su questo romanzo, perché ci tengo veramente tantissimo. È una storia che ho provato a scrivere da adolescente, che ho abbandonato e ripreso svariate volte e che ho modificato radicalmente in questi ultimi 13 anni. E adesso l’ho scritto, l’ho scritto in modo diverso da come l’avevo fatto all’inizio. È un omaggio a qualcuno (poi racconterò a chi, se mai verrà pubblicato, ma è anche il mio superamento di quel qualcuno, la mia espressione, sotto molti aspetti, alla massima estensione, con una consapevolezza e una spinta al rinnovamento davvero profonda.