Nel profondo e toccante libro “Mi chiamo Daniele”, il giovane autore Daniele D’Ippolito si immerge in un dialogo intimo e coraggioso con il suo passato. La sua storia, che gli è valsa il prestigioso Bando SIAE 2024, non è solo il racconto di una malattia, ma un viaggio di scoperta e rinascita, un percorso in cui la scrittura diventa strumento di salvezza. In questa intervista, D’Ippolito condivide le sfide affrontate nel mettere su carta i suoi ricordi, le emozioni sorprendenti emerse durante il processo e la speranza che la sua testimonianza possa infondere coraggio a chiunque stia affrontando una difficoltà.
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Il tuo racconto è un dialogo con il “sé del passato”, un ragazzino di quattordici anni. Durante la scrittura, quali sono state le scoperte più sorprendenti o inaspettate che hai fatto su quel ragazzo e su come la malattia lo ha cambiato?
Durante il processo creativo è stata necessaria la testimonianza della mia famiglia, che mi ha visto nei momenti più duri e in ogni fase di trasformazione. Ciò che probabilmente più mi ha sorpreso è come ho affrontato il dolore, sia durante che dopo il ricovero. Ho sempre sopportato la sofferenza con il silenzio. Per questo, quando sono uscito dall’ospedale, ho avuto il bisogno di liberare ciò che sentivo tramite la scrittura, rivelatasi vera e propria passione che, prima di allora, non mi apparteneva. Nella mia vita non sono mai stato così tanto determinato come lo sono stato per portare a termine quest’opera. Ciò, ovviamente, mi ha dato tanta soddisfazione.
Scrivere una storia così personale può essere molto impegnativo. Quali sono state le sfide maggiori che hai incontrato nel riportarla su carta?
Sicuramente la sfida più grande è stata la memoria. La ricostruzione degli eventi ha protratto la stesura del testo, soprattutto per quanto riguarda i primi tre mesi del ricovero, quando le mie condizioni non mi consentivano di registrare ricordi. Se per la fase dell’ospedale sono stati necessari i racconti della mia famiglia, per il periodo della scuola che precede la malattia, ho dovuto chiaramente fare i conti con la malinconia.
Il libro ha vinto il Bando SIAE 2024. Cosa ha significato per te questo riconoscimento e come pensi che possa aiutare la tua storia a raggiungere un pubblico più ampio?
La vittoria al bando SIAE 2024 mi ha dato tanta gioia ed emozione, perché so quanto è difficile per uno scrittore esordiente raggiungere tale traguardo. Spero che questo sia solo l’inizio per il mio libro, perché sono convinto che la mia storia possa aiutare tante altre persone che si sono trovate o si trovano tutt’ora ad affrontare un percorso come il mio.
Per chi sta affrontando una malattia o una difficoltà simile alla tua, cosa vorresti dire, sulla base della tua esperienza, per infondergli coraggio e speranza?
Ogni volta che mi viene posta questa domanda rispondo che ognuno ha la sua storia. Mi viene difficile dire “prendetemi come esempio”, perché io non ho nulla di speciale. Io sono semplicemente un ragazzo che ha avuto un tumore e che, per qualche motivo, ce l’ha fatta. Tuttavia, credo che la testimonianza di una persona che è riuscita a riscattarsi possa aiutare chi, in questo momento, vede lontana la luce. La comunicazione tra me e il lettore è immediata, perché quest’ultimo si sentirà capito. Non si tratta di una storia fittizia, frutto dell’invenzione di uno scrittore lontano dal mondo ospedaliero e, dunque, distante anche da quelle emozioni che solo la malattia può portare. Al contrario, riporto la mia esperienza, una delle tante, e insieme a questa le mie riflessioni e pensieri. Credo che in ognuno di noi ci sia una forza nascosta che viene fuori proprio nei momenti più duri. Io l’ho trovata nella scrittura, altri la troveranno altrove. In conclusione, il mio invito è quello di circondarsi di storie, tramite i libri e le persone, perché solo con i rapporti umani è possibile trovare rifugio.

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