
Lucia Ricciardi, di origine campana, vive a Milano. Lavora nel campo della moda. Il rumore dell’acqua – caos è il suo romanzo d’esordio.
Puoi raccontarci di te e del tuo percorso come scrittrice?
Pazzia. Credo che ruoti tutto intorno a questa parola. Da piccola, sentivo uno strano impulso muoversi dentro di me ma non ne conoscevo l’origine, la natura e l’intento. Quando mi sentivo sopraffatta, prendevo carta e penna ma, dopo qualche parola, dovevo smettere, perché quella “cosa” che avvertivo dentro si muoveva in modo più insistente e, nella testa, i pensieri prendevano forme sconosciute.
Avevo paura!
Paura di diventare pazza e di scoprire che qualcuno lo pensasse. Non ho mai avuto un quaderno su cui scrivevo storie, ma pezzi di carta sparsi in angoli diversi della casa. Dentro di me, sentivo che se non li avessero trovati tutti insieme, nessuno si sarebbe sognato di darmi della matta.
Ad un certo punto della mia vita, in una fase di stallo, ho trovato il coraggio di capire dove mi avrebbe portato quella “cosa” che continuava a pulsarmi dentro.
Non avevo più paura di diventare pazza né di essere considerata tale. Da qui, nasce il mio romanzo.
Cosa ti ispira a scrivere?
I sogni. Molto di ciò che scrivo, l’ho prima sognato. Spesso, mi sveglio nel cuore della notte, con il battito ancora accelerato e prendo appunti per non dimenticarmene. Mi piace il modo in cui le cose trovano affinità l’una con l’altra. Cose che non si assomigliano per niente e che fanno parte di due mondi sconosciuti, si scontrano e danno vita a qualcosa di diverso, di unico, fatto di una sostanza incerta che emoziona me per prima.
Qualche volta, mentre sono per strada, mi si presenta davanti agli occhi, la proiezione dei miei pensieri. Sento frammenti di conversazioni che mi giungono all’orecchio più forti rispetto alle altre. E vedo delle cose come se fossero già successe, come se il mio cervello andasse a cercarle tra le cose già vissute, tra i ricordi di un’altra vita.
Qual è il tuo processo di scrittura e come ti organizzi per scrivere?
Spesso, si formano nella testa capitoli interi e li scrivo di getto, senza fermarmi, come se fossero già stati scritti e li stessi solo leggendo ad alta voce. Prendo appunti solo sulle caratteristiche fisiche e caratteriali dei miei personaggi, in modo che possa conoscerli meglio anche quando non sono in fase di scrittura. Catturo fattezze e gestualità dalle persone che incontro tutti i giorni: a lavoro, per strada o sull’autobus. Poi scelgo la lunghezza che voglio dare ad ogni capitolo, tenendo conto di una cosa molto importante: il non voler essere eccessiva in nessun caso. Odio dar fastidio a qualcuno.
Come nasce “Il rumore dell’acqua”?
Da una vecchia sveglia. Da piccola, passavo il tempo con le amiche della nonna. Si sedevano in cerchio, a casa della più anziana e parlavano, ininterrottamente, di qualsiasi cosa. Quando capitava che tacessero, per qualche istante, il gallo in una vecchia sveglia, scandiva il tempo in una maniera assordante. Le voci delle vecchie signore, tutte insieme, mi davano serenità, mi facevano sentire ovattata e protetta. La sveglia mi scaraventava la realtà addosso con una regolarità insopportabile. Un giorno, da adulta, dimenticai di chiudere il rubinetto mentre mi stavo lavando i denti. Avvertii un fastidio inspiegabile, insidioso. Capii, un attimo dopo, che stavo subendo il rumore dello scorrere dell’acqua. Per analogia, associai subito quel fastidio a quello della vecchia sveglia. Li avevo subiti entrambi, allo stesso modo, in epoche diverse. Alcuni tratti del mio romanzo possono risultare “fastidiosi” negli stessi termini.
Come hai scelto le tematiche presenti nel libro?
Come dicevo, ho sognato quasi tutto ciò che ho scritto. I capitoli, all’interno del romanzo, non sono tutti numerati. Alcuni hanno dei titoli: quelli sono sogni.
Parte tutto dal capitolo intitolato “Il bacio”. Poi è arrivato “Piedi nell’acqua”, “L’ascensore”, “La vecchiaia”.
Poi, ho scelto la storia che tenesse uniti tutti quei racconti, l’ho immaginata come un grosso album che racchiude vecchie foto. Volevo fosse forte, autentica, inusuale e anche un po’ sofferta.
Quale capitolo hai amato maggiormente scrivere e quale è stato più ostico?
Il capitolo che mi ha resa più orgogliosa è “Piedi nell’acqua” perché è assolutamente il contrario di come sono io nella vita di tutti i giorni: razionale, maniaca del controllo. “Piedi nell’acqua” nasce come una fiaba, un racconto di una dimensione sconosciuta. Mi ha messo alla prova ed ha fatto emergere la parte più infantile di me, quella che, forse, neanche durante l’infanzia è mai emersa. Mi sono divertita e, scriverlo, è stato più facile di quanto pensassi.
Quello che, invece, rileggo ancora con rancore è il capitolo che definisce il rapporto tra i due protagonisti. In termini di sentimenti, di passioni, di amore. Mi sono resa conto che sono ancora molto acerba nel saper raccontare una storia dal punto di vista sentimentale. Faccio fatica a trovare le parole giuste. Se parlo di sofferenza, di stati d’animo contorti, di ricordi, di morte, malinconia, tristezza, le parole “scazzottano” per avere la meglio l’una sull’altra. Quando parlo d’amore, si silenziano, si nascondono e faccio fatica a trovarle.
Autori e/o generi preferiti?
Non ho autori preferiti ed ho scoperto che quasi mai mi piacciono due libri dello stesso autore. Non in maniera ravvicinata. Credo ci sia il tempo giusto per ogni libro. Ma so cosa apprezzo. Mi piace leggere di storie che hanno un’evoluzione, che partono lente e si sviluppano in qualche modo. Amo le parti descrittive perché toccano e fanno emergere parti di me che ancora non conosco. Mi piace scoprirmi attraverso le parole degli altri. Mi rendo conto di tendere più verso i romanzi di autori giapponesi. Mi piace il loro ritmo, quel velo malinconico che copre la maggior parte delle cose. Ma quando entro in libreria, è quasi magia quella che mi spinge verso un determinato libro. È una scelta reciproca, un colpo di fulmine. A volte passo ore ed ore prima di prendere una decisione ma poi, porto a casa, quello che mi aveva colpita per prima e non mi sbaglio quasi mai. Ogni storia è un’esperienza. Un miracolo.
Progetti futuri?
Sto lavorando alla stesura del mio nuovo libro. Ho alzato un po’ l’asticella delle difficoltà e mi sono messa, nuovamente, alla prova. Perché se le sfide, prima mi terrorizzano, poi mi stimolano e ciò che cresce, dentro di me, con me, è qualcosa di avvincente a cui non so più rinunciare. Se il titolo al mio primo romanzo è emerso a stesura completata, nel secondo è avvenuto esattamente l’inverso. L’intera storia nasce da sole tre parole.
Qual è il tuo sogno letterario?
Sogno di poter sfamare la mia fantasia, di essere in grado di elaborare testi sempre più “appetitosi” affinché lei non muoia di fame. E sogno di poter essere il colpo di fulmine, per qualcuno, in una libreria. Quando, dopo aver letto il mio romanzo, una ragazza mi ha detto: “Sembra tu abbia descritto la mia vita, hai dato voce a pensieri che tendevo a sopprimere e, oggi, sento di non essere più sola”, ho avvertito l’esigenza di non dover più nascondere pezzi di carta scritti per casa. Ora, tutti insieme, non mi fanno più paura.